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Femminicidi, la lettera di un’orfana a un altro orfano: «So cosa si prova. Ti aiuterò»

Maddalena aveva 12 anni quando sua madre è stata uccisa dall’ex compagno. Sono trascorsi dieci anni da quel femminicidio e oggi lei torna a parlare per inviare tramite Vita un messaggio a Nicolò Maja, sopravvissuto alla strage famigliare di Samarate. «Siamo una moltitudine di persone di cui ci si dimentica non appena le sirene della polizia tacciono. Ma noi orfani abbiamo ancora una vita da vivere. Quando starai meglio ti servirà una spalla su cui appoggiarti. Io ti aiuterò»

di Sabina Pignataro

Maddalena aveva 12 anni quando sua madre è stata uccisa dall’ex compagno. Sono trascorsi dieci anni da quel femminicidio e oggi lei torna a parlare per inviare tramite Vita un messaggio a Nicolò Maja, sopravvissuto alla strage famigliare di Samarate, quando suo padre Alessandro, a inizio maggio, ha ucciso la madre Stefania Pivetta e la sorella Giulia, ferendo gravemente anche lui. Alcuni giorni fa, dopo quasi un mese in terapia intensiva, il ragazzo ha aperto leggermente gli occhi: un lieve segnale di miglioramento, ma le sue condizioni restano critiche.

«Caro Nicolò, sono un’orfana di femminicidio anche io. Avevo 12 anni quando la mia mamma è stata uccisa dal suo ex compagno. Non era mio padre, ma stavano insieme da diverso tempo. Lei sapeva che era un farabutto. Lo aveva già denunciato tre volte. Era andata dalla polizia a dire che quell’uomo stava agendo su di lei violenza fisica, psicologica, economica. Era andata ad urlare che la sua non era più vita. Che aveva paura per se stessa e per i figli. Eppure nessuno è riuscito a proteggerla. Io stesso avevo chiamato il 113: avevo sette anni e lui aveva provato a tirarla sotto con la macchina. Ma quando la volante è arrivata, lui era già scappato. Hanno detto: se non lo vediamo con i nostri occhi non possiamo farci nulla. Poi, per altri cinque anni è stato un susseguirsi di insulti, minacce, pedinamenti, maltrattamenti, umiliazioni. Ho vissuto ogni sera con la paura che lei non tornasse viva. Dopo il femminicidio lui è tornato in libertà dopo soli cinque anni per buona condotta: fuori, ha pestato la sua nuova compagna e così ha preso l’ergastolo.

Oggi ripenso a te, abbiamo entrambi 23 anni. Anche tu sei un orfano di femminicidio, anche tu hai perso tutto e in più ora stai lottando contro la morte. Quando starai meglio, probabilmente, dovrai affrontare importanti battaglie: ti attendono difficoltà e ostacoli burocratici, legali, economici, sociali, oltre che personali. Dolore, solitudine, rabbia, dispiacere, senso di impotenza e ingiustizia saranno ancora tutti lì, ingarbugliati.

E’ probabile che, come accaduto a me, anche tu non troverai nessun appiglio, sul ciglio del burrone. Siamo una moltitudine di persone di cui ci si dimentica non appena le sirene della polizia tacciono e i riflettori dei media si spengono. Ancora oggi i problemi di noi orfani non solo non sono stati risolti, ma nemmeno debitamente ascoltati e considerati. Anche se nell’ultimo anno sono sorte delle nuove iniziative in nostro sostegno.

Mentre mi rivolgo a te, Nicolò, ho in mente anche tutte le figlie e i figli orfani di femminicidio, che condividono il nostro stesso dolore; penso ai tanti bambini, ragazzi e adulti che hanno perso la madre per mano del padre o del compagno di lei e che spesso hanno assistito alle violenze, o le hanno subite sulla propria pelle. Molti vivono con la paura che l’uomo (spesso il padre) commetta nuovi reati: la legge non prevede che gli orfani o i famigliari siano informati sulla data in cui l’assassino potrebbe uscire di prigione, per permessi premio o per buona condotta. E questo è a dir poco terribile.

Non ho molti consigli speciali da darti, nessuna ricetta preconfezionata. È una cosa a cui non c’è rimedio, guarigione. Vorrei però farti sapere una cosa: io sto meglio. Il passato non scompare, ma è possibile che almeno si scolorisca e poi rimpicciolisca. Pian piano sto assaporando ciò che ho sempre desiderato, un futuro con la persona che amo, ora viviamo insieme e tra poco ci sposeremo. Lo ammetto, è stato difficile, molto difficile, non vedere in lui una parte dell'assassino di mia madre, ma ci sono riuscita. Come? In parte con l'aiuto psicologico, poi il resto l'ho fatto tutto da me, con il tempo ho imparato a conoscerlo, ho provato a farlo arrabbiare per vedere come reagisse, come gestisse i conflitti e poi ho iniziato a fidarmi: con paura, ma l'ho fatto.

Lo Stato, le istituzioni, hanno abbandonato la mamma quando lei aveva denunciato. Non sono riusciti a salvarla. Hanno abbandonato anche me e i miei fratelli, che siamo sopravvissuti, lasciando che ci portassimo addosso questo dolore e tutte le conseguenze della sua mancanza. Ma noi orfani abbiamo ancora una vita da vivere. Quando starai meglio ti servirà una spalla su cui appoggiarti. Io ti aiuterò, per qualunque cosa di cui tu avrai bisogno! Io che non sono stata aiutata da nessuno vorrei aiutare gli altri, perché so quanto è terribile quella solitudine che ti fa accartocciare nel letto e ti morde il petto».

Quella di Maddalena è una delle storie che abbiamo raccontato nell’instant book “A Braccia Aperte, Un faro acceso sui figli delle vittime di femminicidio”. Un progetto di Vita in collaborazione con l’impresa sociale Con i Bambini. (Si scarica gratuitamente da qui)

Nota: il vero nome di Maddalena è un altro. Ma abbiamo scelto di continuare ad usarne uno di fantasia per proteggerla.


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