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Senza tenere insieme competenze emotive e cognitive, non si ferma la violenza

Le cronache raccontano un'escalation di violenza che non possiamo liquidare solo come un problema di singoli. C'è un'accelerazione dovuta alle trasformazioni sociali e culturali che stiamo vivendo? Oggi è urgente un investimento educativo per tenere insieme le competenze emotive con quelle cognitive, accanto a un grande lavoro culturale e di ritessitura delle agenzie territoriali: i cittadini non possono rimanere soli di fronte alla loro sofferenza e paura

di Vanna Iori

Dieci donne uccise negli ultimi giorni, un giovane ammazzato in una rissa con inaudita ferocia, una madre che toglie la vita alla propria figlia, un figlio che uccide la madre. Sono gli ultimi drammatici episodi di un'escalation di inaudita violenza che sta colpendo le nostre comunità: omicidi che hanno ragioni culturali e sociali diverse ma che, insieme, rappresentano un imbarbarimento della vita quotidiana.

Il nostro Paese appare nelle cronache sempre più incomprensibile, impaurito, incattivito: la violenza diventa un pezzo di normalità quotidiana a cui rischiamo drammaticamente di assuefarci.

La domanda da farsi è se in questa brutalità, negli ultimi anni, vi sia stata un'accelerazione dovuta alle trasformazioni sociali e culturali che stiamo vivendo: penso, per esempio, alla difficoltà degli uomini – in una società patriarcale – ad accettare le libertà e l'autonomia delle donne, ma penso anche alla precarietà economica e all'assenza di futuro. Perché è del tutto evidente che la società sta cambiando velocemente sia nei modelli collettivi sia in quelli di vita individuale: è sempre più difficile poter contare su una rete familiare e territoriale non frammentata, capace di ascolto e di supporto emotivo che aiuti ad affrontare le difficoltà della vita, i disagi e la crisi. A ciò si aggiunga che viviamo in una società sempre più basata sull’individualità, sul consumo, sulle performance dove i livelli di stress e di senso di impotenza sono in continuo aumento e dove si fa sempre più fatica a gestire il proprio vissuto e i propri alfabeti emotivi. Un fenomeno questo che riguarda drammaticamente i giovani che mostrano sempre maggiori difficoltà di relazione, incapaci di gestire la complessità della loro vita emotiva di cui non conoscono spesso nemmeno il lessico.

Più in generale appaiono sempre più fragili le competenze esistenziali per compiere scelte di senso riguardo a sé stessi e alle relazioni, per controllare le proprie reazioni nei gesti, nelle parole, nei comportamenti. E nell'assenza di reti, agenzie, strutture di sostegno ma anche a causa dell' incapacità delle Istituzioni a ogni livello, di promuovere cambiamenti culturali e letture innovative della realtà (a cui segua la definizione nuovi strumenti legislativi ma anche educativi), i malesseri diventano patologia, i dolori violenza, le paure sopraffazione.

In un quadro di generalizzato disagio esistenziale, la deformazione dei rapporti, senza adeguato supporto, rischia di aumentare inevitabilmente la violenza e generare nei singoli individui e nella collettività paure, insicurezze, devianza e criminalità. Continuo a pensare che senza un lavoro profondo sull'infanzia sarà difficile nei prossimi anni rallentare questa spirale di violenza. Anche se l’intelligenza cognitiva è molto importante, l’intelligenza emotiva e l’accompagnamento all’alfabetizzazione emotiva sono indispensabili ai giovani per cogliere, valutare e gestire le emozioni proprie e riconoscere le emozioni di chi ci circonda. La capacità di operare scelte di vita, usando la consapevolezza di sé, l’empatia e le abilità sociali è ciò che una diffusa educazione emotiva potrebbe fare per la prevenzione del disagio e la promozione della consapevolezza di sé. Oggi la grande sfida dei sistemi educativi è proprio questa: tenere insieme le competenze emotive con quelle cognitive.

E contestualmente dobbiamo avviare un grande lavoro culturale e di ritessitura delle agenzie territoriali: i cittadini non possono rimanere soli di fronte alla loro sofferenza, disagio, paura che hanno caratteristiche nuove, sociali e individuali legate anche alla sempre maggiore precarietà della condizione umana. L'essere umano oggi si trova di fronte a un'infinità di possibilità che generano libertà ma anche angoscia che diventa caos e instabilità.

Parliamo di questioni profondamente politiche che riguardano la vita delle nostre comunità che affrontano il cambiamento di una società liquida, irradiata da nuove energie e però fredda. La rivoluzione è capire che si può lavorare per cambiare le cose e che non si tratta di un dato immutabile. La volontà di cambiarlo nasce da una scelta etico-politica non più rinviabile.

*Vanna Iori, pedagogista, è capogruppo PD in Commissione Sanità del Senato

Photo by Callum Skelton on Unsplash


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