Economia & Impresa sociale 

La sera che Del Vecchio raccontò ai nostri figli dell’infanzia ai Martinitt

Erasmo e Innocente Figini, i fondatori di Cometa, la cittadella dell'accoglienza a Como, raccontano per la prima volta, a Vita, del loro incontro con l'industriale della Luxottica e dell'amicizia che ne seguì. "Con la sua donazione nacque la Scuola Oliver Twist"

di Giampaolo Cerri

Suonò un giorno del 2007 al 36 di via Madruzza a Como, Paolo Basilico, il finanziere del gruppo Kairos.

Amico di vecchia data, da quelle parti, a Cometa, la cittadella dell’accoglienza e dell’educazione, Basilico capitava spesso. Allora, a vent’anni dalle prime accoglienze di bambini in affido, era cresciuto il grande doposcuola e, in città, avevano aperto le prime classi di una scuola professionale che stava ormai stretta nelle aule prese in affitto da un altro Istituto.

Nella zona ex-industriale della Ticosa, invece, muoveva i primi passi la cooperativa sociale La Contrada degli artigiani, nata per insegnare un mestiere a quei figli accolti che, fattisi grandi, a volte stentavano a scuola. In quel giorno di 15 anni fa, su quel colle che guarda il Lago da sud, c’erano solo le cinque famiglie accoglienti e il loro “esercito” di figli, biologici e in affido.

“Sono qua con un amico”, disse Basilico che, appunto, era uno che passava spesso, per una donazione, per accompagnare imprenditori, per far crescere quel luogo che aveva conquistato anche lui come molti altri.

“Un passo indietro stava un signore non più giovane, dal portamento autorevole e uno sguardo incuriosito”, ricorda Erasmo Figini, designer di tessuti, uno dei fratelli che, con la sua famiglia, e quella del fratello Innocente, fondò Cometa nel 1986, riadattando alla fine degli anni 90 una vecchia cascina, così malmessa che, per i vicini, era la Brusada, ossia “bruciata”.

Fu così che, in quel giorno d’estate, Leonardo Del Vecchio, l’industriale della Essilor-Luxottica morto ieri, comparve sulla soglia e nella storia di Cometa. Venne col finanziere Basilico, appunto, ai progetti della cui fondazione spesso collaborava.

L’inizio di un’amicizia

“Come molti fanno”, ricorda Innocente, primario oculista in città, “rimase a cena nella sala comune in cui le famiglie si radunano, ogni tanto, per consumare il pasto serale assieme”. L’industriale milanese che da Agordo (Belluno) aveva già conquistato l’occhialeria mondiale, seguì con attenzione quel desinare vociante dei tanti piccoli, vanamente richiamati dai genitori. E assistette anche al rito serale degli adulti, o dei fratelli più grandi, che raccontano ai figli le cose interessanti capitate nella giornata: incontri, esperienze, sensazioni.

“Poi cessarono anche i convenevoli”, ricorda Erasmo, “le brevi osservazioni, i sorrisi di approvazione e l’ospite piombò quasi in un mutismo che ci mise anche in imbarazzo perché non sapevamo interpretare quella reazione silenziosa”.

Del Vecchio interruppe di colpo quell’assenza di parole per consegnare, proprio a Erasmo, una sua prima osservazione: “Mi piace qua”, disse, “perché non si possono distinguere i figli naturali da quelli accolti”.

Era il preludio di quello che stava per accadere. “Chiese un attimo di ritirarsi in casa di mio fratello chiedendoci di accompagnarlo”, rammenta Innocente, “e qui domandò se poteva raccontare, a quei tanti figli, la sua storia di Martinitt. Permesso che ovviamente accordammo, perché sapevamo che, nella biografia di questo grande imprenditore, c’era questa fase dolorosa di ragazzino rimasto orfano di padre presto e di sua mamma, operaia, che aveva dovuto collocarlo nel famoso Istituto milanese per trovatelli”.

Del Vecchio parlò, raccontò di sé, di quella infanzia difficile, di quella distanza sofferta, dell’ambiente dell’Istituto, certamente poco incline alle tenerezze.

“Raccontò anche l’episodio di un giovane istitutore che, una sera, nella camerata al buio, aveva individuato il bagliore di un giocattolo a carica, quelli con la dinamo, tenuto nascosto sotto le coperte”, prosegue Innocente Figini, “giocattolo che fu immediatamente sequestrato e calpestato irrimediabilmente, seduta stante. Era un ragazzino, l’istitutore, poco più grande di lui”.

Raccontò anche quel dettaglio, per far capire ai molti bambini e ragazzini in affido, che la loro difficoltà non gli era estranea, spronandoli in questo modo ad apprezzare quel luogo e gli abbracci che erano riservati loro.

“Salutandoci”, ricorda il medico, “disse che sapeva del nostro progetto di costruire una scuola e dei mezzi ingenti che la ciò richiedeva. Entro pochi giorni, ci fece pervenire, attraverso la Fondazione Oliver Twist, la donazione che consentì di tirar su l’edificio”.

Oggi la Scuola Oliver Twist, un professionale con oltre 400 studenti negli indirizzi Legno, Tessile e Sala Bar, è uno degli Istituti scolastici più rinomati della Lombardia, anche oggetto di ricerche pedagogiche per la cura con cui vi si insegna, mescolando sapere e saper fare. Non solo, è un centro che promuove progetti contro la dispersione scolastica e di istruzione per minori stranieri non accompagnati e per migranti.

“Del Vecchio tornò negli anni successivi almeno 4-5 volte”, ricapitola Erasmo, “con scarso preavviso, a volte di solo poche ore. Gli piaceva osservare i progressi fatti, capire come la scuola fosse cresciuta e come i lavori di tanti insegnanti portasse frutto. Per noi è stato un amico discreto, garbato, mai invadente. E quel pezzo di vita vissuta che volle consegnarci, il dono di una storia intima, fu un regalo importante, perché ci fece più ricchi tutti d’un’esperienza che lo aveva costruito, come uomo e come imprenditore”.

La foto di Leonardo Del Vecchio è di Federico Minghetti/Agenzia Sintesi


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