Cooperazione & Relazioni internazionali

Il crollo sul ghiacciaio della Marmolada è solo l’ultimo e più drammatico episodio

Dal 2000 al 2020 sulle Alpi Italiane ad una quota inferiore a 1500 metri di altezza si sono registrati 508 frane ed eventi di instabilità glaciale causati dal cambiamento climatico. Vanda Bonardo, responsabile della Carovana dei ghiacciai di Legambiente: «I ghiacciai si provano a salvare solo per lo scii invernale, ma è solo accanimento terapeutico»

di Luca Cereda

Nessuno poteva sapere quando e dove, ma la cronaca di quello accaduto sul ghiacciaio della Marmolada è una tragedia più che annunciata e per questo ancor più grave e dolorosa. Quanto accaduto corrisponde agli scenari e agli avvertimenti che climatologi e glaciologi diffondono da anni insieme alle associazioni ambientaliste. I fatti: almeno sei persone sono morte travolte dalla frana causata nel primo pomeriggio di domenica 3 luglio dal distacco di una grossa porzione del ghiacciaio della Marmolada, il gruppo montuoso più alto delle Dolomiti. Si pensa però ci possano essere ancora diversi dispersi, anche se per ora non ci sono stime troppo affidabili. Si parla di 16 dispersi. La causa è il crollo avvenuto intorno alle 13.45, quando un enorme blocco di ghiaccio si è staccato nella parte sommitale della montagna, a oltre tremila metri, dove le temperature superavano i 10 °C, molto superiori alla media per via della prolungata ondata di caldo in corso nel Nord Italia.

In cento anni la Marmolada si è ridotta dell’80 per cento

Il gran caldo è stato con ogni probabilità la causa del distacco, di dimensioni eccezionali: ha coinvolto un fronte di ghiaccio di decine di metri di larghezza, che è venuto giù lungo la parete Nord portandosi dietro per centinaia di metri una enorme quantità di ghiaccio e roccia, che ha travolto la via normale ed è passata non lontana dal rifugio Marmolada: «Siamo di fronte ad una riduzione del volume di quel ghiacciaio maggiore dell’85% avvenuta tra il 1905 ed il 2010 e uno spessore della fronte, passato dai quasi cinquanta metri dell’inizio del secolo scorso ai pochi metri di oggi sono i segnali che il ghiacciaio della Marmolada sta morendo e lasciano presagire la sua definitiva scomparsa tra 20-30 anni. Un fatto come quello avvenuto, così tragico, poteva non avere quella scia di sangue, ma era destina a capitare. E lo sarà sempre più spesso», spiega Vanda Bonardo, responsabile della Carovana dei ghiacciai di Legambiente che ha toccato anche il ghiacciaio della Marmolada tra Veneto e Trentino Alto Adige.

Ghiacciai, fragili, anzi…

Il ghiacciaio della Marmolada, un tempo massa glaciale unica, è ora frammentato e suddiviso in varie unità, dove in diversi punti affiorano masse rocciose sottostanti. «I terreni carsici come la Marmolada sono irregolari e costituiti da dossi e rilievi. Se il ghiaccio fonde gradualmente, le aree in rilievo affiorano, diventando fonti di calore interne al ghiacciaio stesso. Questo aspetto, unito al cambio di albedo (la neve e il ghiaccio sono bianchi e riflettono molta radiazione solare, mentre la roccia, più scura, ne riflette di meno) sta ulteriormente minando la salute della Marmolada accelerandone la già forte e rapida fusione» aggiunge Bonardo.

Sono due gli indicatori che testimoniano quanto ormai sta accadendo ad alta quota: l’aumento, a un ritmo sempre più accelerato, della fusione dei ghiacciai – che stanno perdendo superficie e spessore, frammentandosi e disgregandosi in corpi glaciali più piccoli – e l’aumento dei cosiddetti fenomeni di instabilità. Cioè frane, valanghe di roccia, di ghiaccio e colate detritiche. È quanto è emerso dalla seconda edizione di Carovana dei ghiacciai, la campagna realizzata da Legambiente con il supporto del Comitato Glaciologico Italiano. Questi elementi hanno giocato un ruolo cruciale nella tragedia di domenica.

…fragilissimi

C’è di più, dai rilevamenti di della Carovana emerge, fra l’altro, che tra il 1850 e il 1975 i ghiacciai delle Alpi europee hanno perso circa la metà del loro volume; il 25% della restante quantità si è perso tra il 1975 e il 2000 e il 10-15% nei primi 5 anni del nostro secolo.Inoltre, secondo il catasto online del gruppo di ricerca GeoClimAlp, nel periodo 2000-2020 nelle Alpi Italiane ad una quota inferiore a1500 metri di altezza si sono registrati 508 processi di instabilità naturale (frane, colate detritiche ed eventi di instabilità glaciale). I dati raccolti evidenziano una concentrazione di eventi in alcune regioni: Valle d'Aosta (42%), Piemonte (18%), Lombardia (16%) e Trentino Alto Adige (15%). «Gli habitat di montagna, – spiega Bonardo, responsabile della Carovana dei ghiacciai di Legambiente – subiscono molto prima e maggiormente rispetto ad altri luoghi gli effetti della crisi climatica, diventando un ambiente sempre più esposto alle sue conseguenze e più fragile. Per questo è fondamentale che si definiscano al più presto adeguate strategie e piani di adattamento al clima su scala regionale e locale, perché non si può perdere più altro tempo. Nel nostro Paese, particolarmente vulnerabile ai fenomeni di instabilità naturale, l'accelerazione del cambiamento climatico rende necessarie ulteriori misure di protezione e adattamento, precedute da moderne tecnologie di osservazione, per anticipare, monitorare e affrontare la sfida della tutela di ecosistemi complessi e altamente interconnessi, in condizioni di crescente squilibrio».

I compagni di scioglimento della Marmolada

Il ghiacciaio della Marmolada purtroppo non è solo: il suo manto di ghiaccio e di nevi perenni ha migliaia di anni, ma si stanno riducendo e assottigliando, centimetro dopo centimetro, e negli ultimi 5 anni è entrato in agonia. Proprio come il ghiacciaio dell’Adamello, il più esteso d’Italia in Valle Camonica tra Lombardia e Trentino. Ogni anno sull’Adamello spariscono 14 milioni di metri cubi d’acqua pari a 5600 piscine olimpioniche. La sua estensione si sta riducendo progressivamente, passando dai circa 19 chilometri quadrati del 1957 ai circa 17.7 del 2015, a causa del ritiro dell’area glaciale che si è ridotta di quasi 2 chilometri quadrati in 58 anni. «Negli ultimi anni inoltre si sta registrando una riduzione pari a 10-12 metri dal 2016 ad oggi, un’accelerazione spaventosa rispetto ai 2-3 centimetri l’anno di qualche decennio fa», spiega Vanda Bonardo, responsabile della Carovana dei ghiacciai di Legambiente.

«Preservare i ghiacciai vuol dire anche conservare una riserva d'acqua di importanza strategica – ha osservato Vanda Bonardo -. Il ghiacciaio dell’Adamello contiene una quantità d’acqua in grado di riempire più di 4 volte il lago di Garda. Una risorsa che, venendo meno, sta già creando grossi problemi anche, ad esempio, per l’irrigazione in pianura a causa anche dell’aridificazione del Nord Italia di cui la siccità attuale è solo l’ultimo segnale».

I ghiacciai si possono salvare?

Si può invertire la rotta per quanto riguarda la sorte di questi ghiacciai? «Lo si sta provando a fare sul ghiacciaio Presena, che è di fianco all’Adamello, coprendolo con teloni riflettenti per abbassare le temperature durante l’estate ed evitare almeno in parte lo scioglimento: ma è accanimento terapeutico. Anche perché questi espedienti vengono usati solo sulle superfici che interessano per le piste da sci, non per preservare un elemento essenziale dell’ecosistema alpino di quella zona. Il resto del ghiacciaio infatti è lasciato a se stesso, e vederlo così, da studiosa e da appassionata di montagna mi ha fatto male».

In quota però non c’è molto da fare, lì l’attenzione all’ambiente è massima già da prima che le tematiche ambientali fossero messe sotto l’etichetta “emergenza”. «Le azioni politiche, di cittadinanza attiva e culturali vanno portate avanti a valle e in pianura, nelle città – conclude Vanda Bonardo. Solo che l’accelerazione di questi ultimi mesi verso pratiche di vita sostenibile è inversamente proporzionale rispetto all’accelerazione dello scioglimento dei ghiacciai».

Infatti con il progressivo riscaldamento climatico, pur in presenza di fattori favorevoli come la limitata esposizione all’irradiazione, nei prossimi due decenni – ’20 e ’30 – i ghiacciai delle Alpi italiane al di sotto dei 3000 metri sono destinati a scomparire. Intanto, mentre i ghiacciai si sciolgono e crollano e un quinto del territorio nazionale è a rischio desertificazione. I dati, e ora anche i fatti di cronaca, fanno rabbrividire.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA