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Cooperazione & Relazioni internazionali

La carovana per Kiev che ha portato corpi e non beni

Le riflessioni di un giovane partecipante alla marcia della pace del Movimento Europeo di Azione Nonviolenta

di Antonino Iorio

Si è appena conclusa la spedizione del MEAN in Ucraina, il Movimento Europeo di Azione Nonviolenta che raggruppa oltre trentacinque organizzazioni italiane, che si prefigge, come obiettivo primario, la risoluzione pacifica del conflitto tra Russia e Ucraina partendo dalla richiesta di un cessate il fuoco alla Russia.

Decine di persone, da ogni parte d’Italia ognuna con il proprio bagaglio di conoscenze e professionalità, hanno deciso, senza indugio, di forzare quella porta d’Europa sbarrata dalla guerra, per arrivare a Kiev per una testimonianza forte e coraggiosa.

Non solo la solidarietà di circostanza, bensì una vicinanza reale e concreta, utile per la risoluzione delle controversie, risoluzione che ormai non può più fondarsi solo ed esclusivamente sull’invio di armi e munizioni come finora è stato fatto, in quella che è a tutti gli effetti una guerra per procura attuata dalla grandi potenze mondiali sulle spalle di due popoli così geograficamente vicini e così culturalmente affini.

Indispensabile, più di ogni altra cosa, un’opera di pacificazione profonda e radicale affinché sia disinnescata quella bomba ad orologeria pronta a detonare sul suolo europeo dove sono a rischio, non solo le risorse energetiche e alimentari, ma anche la sicurezza dalla guerra fin qui vissuta da quelle generazioni che non hanno conosciuto in prima persona il secondo conflitto mondiale.

Ore e ore di strada per il convoglio del Mean, un attraversamento quasi senza soste per motivi di sicurezza e ore intere per prepararsi, nel migliore dei modi possibili, ad abbattere ogni barriera fisica e linguistica posta durante il tragitto; un viaggio fatto a ritroso, un percorso contrario a quello di migliaia di profughi che in questi mesi si accalcano al confine con la speranza di un luogo sicuro dai missili: un oltrepassare quell’uscio sicuro della Polonia per arrivare nel cuore di Kiev.

Ad ogni chilometro fatto sconfiggere la paura dei missili e ad ogni checkpoint di sabbia e cemento il desiderio di essere baluardo di dialogo affinché i bellissimi paesaggi dell’ucraina non siano deturpati da fortificazioni e filo spinato.

Dai finestrini del pullman, infatti, non solo gli edifici distrutti nella periferia di Kiev ma, anche distese infinite di girasoli in un paesaggio da cartolina indifferente e scostante ai litigi degli uomini dove la quiete degli alberi e l’imperturbabilità delle cicogne nei loro enormi nidi sui pali della luce, rimarcavano la piccolezza delle faccende umane nella complessità della natura.

Strano incontrarsi in una capitale blindata, strano osservare difese anticarro di fronte ad un affollato caffè di Kiev dove una forzata normalità fa si che si possa noleggiare un monopattino stando però attenti a non sbattere contro i cavalli di Frisia arrugginiti.

Travi di ferro per difendersi dall’acciaio dei carri armati entrate ormai nell’ordinario arredo urbano in un paradosso senza fine per una città dalla doppia vita che, di giorno, assapora l’illusione del tran tran quotidiano e di notte si sveglia con le sirene della contraerei; lo stesso paradosso degli abitanti dal passo lento al mattino che subito si fa veloce allo scoccare del coprifuoco.

Una guerra tecnologica non solo per le armi utilizzate, ma anche per gli allarmi lanciati sui telefonini; avvisi di un pericolo imminente che interrompe bruscamente telefonate e conversazioni di amici, familiari e innamorati pronti a correre nei rifugi ed aggiornarsi costantemente con sms e chat virtuali.

Una missione che non si proponeva di trasportare aiuti umanitari (anche se qualcosa si è portato), se non la presenza umana fatta di piccoli gesti: la somma di tante voci della società civile italiana per sovrastare, senza urlare, il rumore degli spari e dei bombardamenti con una vicinanza composta e tangibile.

Indubbiamente solenne l’incontro con il sindaco e le autorità di Kiev, ma ancor più significativo è l’aver instaurato un tavolo di lavoro permanente su argomenti concreti, pezzettini di un puzzle ancora difficile da comporre ma che sicuramente rappresenta un punto di svolta inimmaginabile solo fino a poco tempo fa.

La volontà e l’importanza di ricostruire quel tessuto umano che solo la guerra sa logorare in maniera così profonda e il progetto, un pò folle, di una pacificazione credibile per gettare le fondamenta solide di una società futura che possa crescere senza il rancore di questi tristi giorni.


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