Sanità & Ricerca

Quel legame fatale tra inquinamento e arresto cardiaco

Due studi svolti tra Parma e Piacenza dimostrano che il rischio di aritmie fatali aumenta del 37-38 per cento nei giorni in cui il livello di inquinamento supera i limiti di sicurezza fissati dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. Nel team anche Davide Lazzeroni, cardiologo della Fondazione Don Gnocchi: «Ridurre l'inquinamento ridurrebbe del 20% gli accessi in pronto soccorso per malattia cardiovascolare».

di Redazione

Che relazione c’è tra inquinamento e arresto cardiaco? Le polveri sottili derivanti dall’inquinamento sono responsabili di aritmie cardiache fatali? Sì, numeri alla mano. Uno studio scientifico frutto del lavoro congiunto di un team di esperti, dei quali fa parte anche Davide Lazzeroni, medico cardiologo dell’Unità Operativa di Prevenzione e Riabilitazione Cardiovascolare del Centro “S. Maria ai Servi” della Fondazione Don Gnocchi di Parma, dimostra che gli effetti nefasti dello smog sono responsabili di una morte su cinque tra quelle dovute a eventi cardiaci e vengono subito dopo l’ipertensione, il fumo e la dieta errata, ma ben prima di colesterolo alto, sovrappeso, mancanza di attività fisica, abuso di alcol e malnutrizione. «Il rischio di aritmie fatali – spiega il dottor Lazzeroni – aumenta mediamente del 37-38 per cento nei giorni in cui il livello di inquinamento supera i limiti di sicurezza fissati dall'Organizzazione Mondiale della Sanità e in particolare cresce con l'aumento delle concentrazioni di PM 2,5 e PM 10, indipendentemente dalle soglie d'allarme che, per quanto riguarda l’Unione europea, sono fra le più alte al mondo».

Lo studio ha lavorato sui territori di Parma e Piancenza, una delle zone più inquinate d'Europa dal punto di vista dello smog. Perché proprio Piacenza? Perché – sottolinea Lazzeroni – rappresenta una delle zone più inquinate d'Europa dal punto di vista dello smog, al pari di Parma, e perché grazie agli investimenti del Progetto Vita è la città con la più alta densità urbana di defibrillatori di tutta Italia».

Il lavoro è stato coordinato dalla dottoressa Daniela Aschieri, responsabile del reparto di Cardiologia dell'ospedale di Piacenza e presidente del “Progetto Vita”, e dal professor Giampaolo Niccoli, docente di Cardiologia all’Università di Parma, e vede tra gli autori – oltre al dottor Davide Lazzeroni – anche il cardiologo Luca Moderato (Cardiologia di Piacenza). Un primo studio, presentato al Congresso Europeo di Cardiologia nel 2021, ha comparato i dati giornalieri urbani di inquinanti, rilevati dalle centraline ARPA di Piacenza tra il 2011 e il 2017, con i dati delle 880 registrazioni di arresto cardiaco contenute nella memoria dei defibrillatori dislocati nello stesso territorio. Il secondo studio ha invece seguito per cinque anni una popolazione di 136 pazienti portatori di defibrillatore impiantabile, che consente di registrare battito per battito ogni aritmia, anche fatale e pertanto responsabile di arresto cardiaco, prima causa di morte al mondo. I riscontri dei due studi sono sorprendentemente risultati identici. L’ipotesi dei cardiologi è che gli inquinanti inalati aumentino l'infiammazione e l'attività del sistema nervoso simpatico, scatenando un rilascio di catecolamine circolati e sinaptiche, potenzialmente responsabili dell’innesco delle aritmie fatali.


In precedenza altri studi avevano messo in relazione lo smog anche con l'infarto da trombosi coronarica. Lo studio congiunto delle università di Parma e Piacenza è stato presentato al recente Congresso Europeo di Scompenso Cardiaco della Società Europea di Cardiologia (ESC Heart Failure Congress), svoltosi a Madrid e ha avuto una grande eco in molti giornali e siti internazionali, in particolare sui quotidiani indiani e cinesi, due Paesi che devono fronteggiare un inquinamento massiccio. «In un solo mese i nostri risultati sono stati pubblicati in 99 testate giornalistiche e sono stati letti da oltre 75 milioni di persone in tutto il mondo. Il nostro studio suggerisce che la transizione verde rappresenti una grande opportunità per salvare non solo il nostro pianeta, ma anche chi lo abita. È quindi estremamente importante – conclude il cardiologo della Fondazione Don Gnocchi – che la politica lavori di pari passo con la comunità scientifica per vincere la battaglia contro l’inquinamento, attraverso cui si potrebbero ridurre di circa il 20% il numero di accessi in pronto soccorso per malattia cardiovascolare».

Foto Unsplash


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