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Dalla Germania a Barletta sulle orme del padre deportato

Pasquale Caputo ha 73 anni. E’ partito lo scorso 8 maggio da Monaco di Baviera per rivivere il viaggio che suo padre Francesco e migliaia di soldati italiani fecero al termine della seconda guerra mondiale per tornare nelle loro case. Un viaggio per riflettere e fare memoria. Oggi l’ultima tappa a Barletta, la sua città

di Emiliano Moccia

«Durante le notti passate in Baviera ci sono stati dei temporali. Mi svegliavo all’improvviso e pensavo ai miei “ragazzi”, li sentivo vicino». Pasquale Caputo non trattiene la commozione. Il suo viaggio sta per terminare, eppure dentro di lui echeggiano ancora i passi che dall’8 maggio lo accompagnano in questo lungo percorso alla scoperta del passato. Ma dentro di sé esplodono anche i passi di coloro che lo hanno preceduto, che hanno compiuto il suo stesso, identico, percorso, molti anni prima. Perché Pasquale, che di anni ne ha 73, ha ripercorso il tragitto che suo padre, Francesco, compì alla fine della seconda guerra mondiale da un campo di concentramento tedesco alla sua casa di Barletta. Come suo padre e le migliaia di soldati italiani che al termine del conflitto tornarono a piedi alle proprie abitazioni, anche il pensionato è partito da Monaco di Baviera per rivivere la loro esperienza percorrendo 1700 km, suddivisi in 68 tappe che lo hanno fatto passare per i luoghi della Resistenza italiana al nazifascismo. In tutte le città ed i presidi in cui è stato, in particolare nelle sedi dell’Associazione Nazionale Partigiani Italiani, ha ricevuto accoglienza e riconoscimento per l’iniziativa che ha intitolato “Sulle orme di mio padre e di tutti gli Internati Militari Italiani”.

«Mio padre ha perso dieci anni della sua vita tra il 1935 ed il 1945, tra il servizio militare, il richiamo, l’entrata in guerra ed i due anni trascorsi nei campi di concentramento» racconta Pasquale Caputo nella tappa che lo ha accolto nella sua Puglia, a Foggia. «Non mi rendevo conto della forza che aveva avuto per tornare a casa in quelle condizioni. I soldati erano stracciati, ammalati, denutriti ed ho compreso in quali condizioni disumane si trovavano ed il coraggio che hanno avuto per fare ritorno dai loro cari». Anche per questo, Pasquale ha documentato con foto e parole sulla pagina facebook del progetto tutto il viaggio. Suo padre Francesco nacque a Barletta il 21 maggio 1917. Da soldato, era in forza al Reggimento di Cavalleria di Ferrara. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, fu catturato a Verona e deportato nei campi di prigionia tedeschi, andando a far parte di quella schiera di IMI (Internati Militari Italiani) ritenuti traditori dall’ex alleato nazista. Dopo la detenzione nei campi di Moosburg, Memmingen e Kaufbeuren nei dintorni di Monaco di Baviera, il padre di Pasquale e gli altri sopravvissuti iniziarono un lungo cammino a piedi per tornare nelle loro città.

Francesco Caputo giunse nella sua casa paterna di Barletta il 27 luglio 1945. Ma non tutti riuscirono a tornare a casa. Molti persero la vita nei campi di concentramento, durante il difficile viaggio per tornare a casa, spesso affrontato in condizioni di salute assai precarie. Per questo, il viaggio di Pasquale, oltre a raccontare attraverso il ritmo dei passi la vicenda di suo padre, vuole essere un’occasione per fare memoria, per riflettere sul tema della guerra, delle discriminazioni razziali, delle persecuzioni e dell’immigrazione. Tutte tematiche ancora tristemente attuali.

«Questo lungo percorso mi ha fatto pensare anche a tutti i popoli che oggi sono in marcia per cercare un futuro migliore, a chi attraversa il Mediterraneo, a chi il deserto africano per finire nei lager libici, al popolo ucraino in fuga dalla guerra. E’ stato un modo per essere vicino a tutta questa gente». Dopo oltre 70 giorni di cammino, Pasquale deve affrontare l’ultima tappa. Gli ultimi metri di un percorso che gli ha provocato un misto di emozioni e sentimenti. Oggi arriverà a Barletta, la sua città, la terra di suo padre da cui tutto ha avuto inizio. Ad accoglierlo ci sarà tutta la sua comunità e, probabilmente, confuso tra la folla, anche il sorriso del padre con le braccia aperte per abbracciarlo.