Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Cooperazione & Relazioni internazionali

Qual è quel posto che tutti chiamano casa?

Cosa significa appartenere ad una terra? Anzi, cosa significa "appartenere" quando sei nata da schiavi nei Caraibi, adottata da un inglese, cresciuta nel Regno Unito e sposata ad un uomo del sud Africa? Qual è quel posto che tutti chiamano casa?Abram, Dido e Alisa, i protagonisti di Randagi, il romanzo di Rešoketšwe Manenzhe aggiungono un capitolo all’eterna saga di chi parte, di chi resta, di chi si perde andando

di Sabina Pignataro

Cosa significa appartenere ad una terra? Anzi, cosa significa "appartenere" quando sei nata da schiavi nei Caraibi, adottata da un inglese, cresciuta nel Regno Unito e sposata ad un uomo del sud Africa? Qual è quel posto che tutti chiamano casa?

Abram, Dido e Alisa, i protagonisti di Randagi, il romanzo di Rešoketšwe Manenzhe (edizioni Solferino) aggiungono un capitolo all’eterna saga di chi parte, di chi resta, di chi si perde andando.

C’è un giorno preciso in cui la vita di un uomo precipita nel caos. Abram van Zijl produce vino a Città del Capo e può essere indifferentemente inglese o olandese perché gli è facile appartenere al mondo. Ma il 29 marzo del 1927, quando in Sudafrica viene approvata la legge sull’immoralità che vieta i rapporti carnali illeciti tra europei e indigeni, il mondo che sentiva suo comincia a sgretolarsi.

Con quelle parole la vita di Abram precipitò nel caos. La crescente inquietudine che aveva accompa­gnato molte altre cose già accadute parve culminare in fretta, quasi che i presagi infausti fossero diventa­ti impazienti.

un estratto del libro “Randagi”

E dire che, all’inizio, aveva creduto che una cosa così astratta non potesse davvero scuotere una famiglia, non la sua perlomeno. Anzi, mentre stringeva Alisa, sua moglie, giurando di proteggere lei e le bambine, si era illuso che quello fosse per loro un nuovo inizio. Si bagliava.

«Se­condo il comma 5, se possiamo dimostrare che sia­mo sposati non avremo nessun problema». Alisa lesse il punto che le indicava. Poi, scuotendo la testa, indicò a sua volta un comma: «Ma qui c’è scritto che se non possiamo dimostrarlo, ci riterranno non sposati. E la pena è di cinque anni di carcere per te, quattro per me, e le bambine…»

un estratto del libro “Randagi”

Per Alisa le cose non stanno così. Tutto ha cominciato ad andare storto da molto prima, forse da quando può ricordare, lei nata da schiavi nei Caraibi, adottata da un inglese, cresciuta nel Regno Unito e diventata cittadina del mondo per il suo tanto viaggiare. Ma nemmeno l’Africa, dove alla fine l’ha condotta la sua inquietudine, nemmeno l’amore di Abram, che le ha generato due figlie, sono riusciti a farle trovare il suo posto. Lei, a differenza di suo marito, non appartiene a nulla se non alla sua malinconia.

Quando il caos comincia, tutto rotola via come portato dal vento. E travolge anche Dido, la figlia maggiore, bruna di pelle e castana di occhi come sua madre, ma in tutto e per tutto simile a suo padre. È nata e cresciuta in Africa, correndo tra i filari delle viti nella tenuta di famiglia, e tutt’a un tratto l’Africa, per qualche oscura ragione, le toglie quanto le ha dato e non la vuole più.

Deduco che la Giamaica debba es­sere casa mia. Tutto sommato è lì che sono nata. Ma so che non sono padrona dei Caraibi come lo è il mio papà adottivo: né di terra, né di casa, neppure del mio cognome. Eppure im­maginavo, nella mia ingenuità, di poter rivendicare l’Africa. Mi aveva dato la pelle e quella che un sor­vegliante agricolo aveva definito una volta un’intrin­seca barbarie, ignoranza e obbedienza. Questo capi­vo e questo mi aveva dato l’Africa; attraverso il tempo e gli oceani l’Africa mi aveva toccata e mar­chiata come sua.

Quel marchio mi ha isolata più acutamente di qual­siasi altro lineamento. I miei simili mi vedevano come africana prima e come simile poi, o mai. Appartene­re all’Africa significava non appartenere al resto del mondo o a un’altra sua parte. Non so quante volte mi sono sentita dire: «Torna nella giungla» perché per chiunque altro l’Africa non è un sogno né un pa­radiso. È una giungla. È solo un posto.

un estratto del libro “Randagi”

REŠOKETŠWE MANENZHE è nata in un villaggio sudafricano e vive a Città del Capo, dove sta terminando un dottorato di ricerca. I suoi scritti sono apparsi, fra gli altri, sulla «Kalahari Review», su «Fireside Fiction» e nella «Sol Plaatjie European Union Anthology» del 2017. Randagi, pubblicato in Sudafrica nel 2020, è immediatamente diventato il debutto più acclamato dell’anno, vincendo prestigiosi premi letterari,


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA