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Bollette e personale: per i servizi sociosanitari si prospettano 160 milioni di perdite

Una ricerca di Uneba Lombardia su entrate e costi del primo semestre del 2022 lancia l'allarme: bollette su del 60%, alimentari quasi del 10%.Stimati 160mila euro di perdita media per ciascun servizio socio sanitario per anziani e disabili, ma diversamente dalll'epoca Covid non ci saranno meccanismi compensativi. Il presidente Luca Degani: «Di fronte al caro energia ci sono aiuti solo per le imprese. Chiediamo un credito d'imposta per il Terzo settore»

di Sara De Carli

Centossessantamila euro di perdita media per ciascun servizio socio sanitari per anziani e disabili: RSA, RSD, CDD, ADI che sia. Che a livello complessivo, con un perdita del 4,16%, significa stimare 160 milioni di euro di perdita. Meno del 2021, quando la perdita a ente era stata di circa 300mila euro, ma comunque un dato sostanzioso soprattutto a fronte del fatto che per il 2022, diversamente da quanto accaduto nel 2020 e nel 2021, non sono previsti meccanismi compensativi a supporto del settore. È quanto va messo in conto per il 2022 secondo le proiezioni di Uneba Lombardia, a partire da una rilevazione effettuata sul primo semestre dell’anno fra un centinaio di realtà associate sulle 450 presenti in terra lombarda. La ricerca è in fase di ulteriore elaborazione e verrà presentata a settembre, ma il grido d’allarme si alza fin da subito per denunciare un fortissimo danno economico per chi eroga questi servii fondamentali, senza neanche il supporto dato alle imprese.

«Abbiamo analizzando elementi di ordine gestionale ed economico, rilevando un aumento dei costi sia sul fronte sanitario, in particolare nel costo del personale (+3,50%) sia sul fronte alberghiero, con un incremento medio ponderato del 7,41% e – ad esempio – i costi del capitolo ristorazione che salgono del 9,26% e quelli per la lavanderia del 6,55%, per arrivare, sul fronte dei costi misti, ad aumenti folli dell’11,74%, in larga misura determinato dall’incremento relativo alle utenze che presentano un costo medio del 60,93%», illustra Luca Degani, presidente di Uneba Lombardia. I dati derivano in particolare dalle 40 organizzazioni fra i rispondenti che hanno già rendicontato il primo semestre del 2022. «L’obiettivo della ricerca, a tutela anche delle persone che fruiscono di questi servizi e dei lavoratori, sarà rappresentare alle istituzioni la necessità di interventi tanto contingenti che strutturali di supporto. Un esempio? Fare in modo che, anche per il non profit, sia possibile ottenere un credito di imposta per affrontare l’aumento dei costi energetici».

Negli scorsi due anni, il 2020 e il 2021, segnati dal Covid, le difficoltà economiche per i servizi socio sanitari sono state causate soprattutto dal calo della saturazione, cioè delle presenze: un calo che ha riguardato tutti i servizi sia quelli residenziali per il blocco degli ingressi sia quelli diurni e domiciliari. Nel 2020 e nel 2021, per farvi fronte, le regioni – in modo diverso – hanno fatto in modo di riconoscere il cosiddetto “vuoto per pieno”. Gi 2022 invece, stante la migliore situazione pandemica, le presenze nei servizi e le ore erogate sono salite, pur essendo ancora al di sotto dei livelli pre-Covid. In sostanza, per due anni RSA, RSD, CDD ecc hanno avuto perdite a costi identici ma legate alla diminuzione delle entrate, per cui però c’erano strumenti compensativi. Oggi invece le entrate restano identiche ma hanno un fortissimo aumento di costi energetici, alimentari e di personale. Nel 2022 infatti non ci sono più norme di supporto per questi enti, benché i problemi non siano finiti: l’aumento dei costi alimentari, ad esempio, e quelli delle bollette: «Ma il sistema degli aiuti oggi riguarda solo le imprese o le attività energivore, non prendere in considerazione le nostre realtà, c’era una proposta in Commissione bilancio che non è arrivata in porto per un credito d’imposta», afferma Degani. L’altro fronte è quello dei costi del personale: in molti sono passati al pubblico, con le assunzioni per la nuova sanità territoriale e oltre a dover tamponare lo “spopolamento” dei propri servizi, il non profit deve pagare di più i nuovi ingressi perché essendoci scarsità di risorse, aumenta il costo della prestazione.


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