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Ancora morte al Cpr di Gradisca d’Isonzo, le associazioni protestano

Dopo la quinta morte di un migrante, una delegazione di cittadini e attivisti ha chiesto di entrare a visitare il Centro di permanenza per i rimpatri. Fra loro Furio Honsell, già rettore e sindaco di Udine, oggi candidato

di Veronica Rossi

Il 31 agosto al Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Gradisca d’Isonzo, in provincia di Gorizia, si è suicidata una persona. La quinta, da quando la struttura è stata aperta, nel 2019. Si trattava di un ventottenne pakistano – le cui generalità non sono state rese note –, arrivato al centro da appena un’ora. A seguito di questi avvenimenti, ieri, una delegazione di cittadini – molti attivisti di associazioni e anche alcuni militanti di Unione popolare con la deputata Yana Ehm, grillina e ora candidata con quel partito – si è recata fuori dalle porte della struttura, chiedendo di poter entrare a controllare le condizioni in cui vivono i migranti al suo interno; i responsabili dell’ente, però, hanno suggerito di mandare una pec alla prefettura, che non ha dato risposta. Da oltre le mura, grida: “Libertà, libertà”. Poi, mentre i cittadini bussavano al portone principale per farsi aprire, odore di fumo e di lacrimogeni, proveniente dall'interno dove, probabilmente, erano scoppiati dei disordini.

Fra loro anche Furio Honsell, professore a Udine e consigliere regionale del Friuli Venezia Giulia (ora candidato al Senato per Sinistra Italiana/Europa Verde). Gli abbiamo chiesto di commentare la vicenda.

Che cosa pensa dei Centri di permanenza per il rimpatrio?

I Cpr sono qualcosa di assolutamente disumano. Ma la cosa peggiore è che sono semplicemente una facciata, che non ha alcun senso di esistere; rispondono a una narrazione che hanno voluto fare alcuni governi di destra, per mostrare al loro elettorato che venivano effettuate delle espulsioni. Si tratta di realtà che costano molto e che ricevono sovvenzioni dall’Europa, ma che non danno alcuna risposta concreta.

Come entrano i migranti nei Cpr?

Spesso chi finisce in queste strutture ci finisce in maniera casuale: non tutti coloro che si sono visti negare la richiesta d’asilo e a cui è stato bocciato il ricorso approdano qui; non ce ne sarebbe la possibilità nemmeno in termini numerici. Quanti posti hanno i Cpr in Italia? Qualche centinaio? Forse un migliaio? Ma le persone che hanno un percorso di migrazione irregolare sono molte di più. Si tratta di violenza gratuita, una finzione sulla pelle di alcuni capri espiatori.

Lei, in altre occasioni, ha visitato la struttura. Che cosa ha trovato?

Qualcosa di inaccettabile sotto tutti i punti di vista, barbaro: le situazioni di autolesionismo sono veramente all’ordine del giorno. È l’unico modo che queste persone hanno per attirare l’attenzione e per uscire, momentaneamente, quando vengono portate al pronto soccorso. Poi c’è tutta una dimensione psicologica, personale: sono ragazzi che alle spalle hanno delle famiglie, che spendono anche l’equivalente di 12mila euro per mandarli in Europa. Tanti, quindi, restano indebitati e tornare indietro diventa impossibile. Siamo di fronte a uno degli esempi più tragici della condizione umana di quest’epoca.

Quale può essere, allora, la risposta della politica al fenomeno migratorio?

Queste strutture non hanno senso, ma non è perché i posti andrebbero aumentati, ma perché non hanno motivo di esistere: ci vorrebbe una riformulazione della legge italiana sull’immigrazione. Quando in Pakistan, nell’ultima settimana, ci sono stati 1500 morti a causa delle inondazioni dovute ai cambiamenti climatici, diventa chiaro che ci saranno numeri sempre maggiori di migranti, soprattutto ambientali, prima che economici. La risposta non può essere la violenza: bisogna stabilire delle quote e delle modalità di ingresso regolamentate. Abbiamo ancora in vigore la Bossi – Fini, che prevede addirittura il reato di clandestinità; c’è la necessità di creare dei canali di ingresso che non obblighino le persone a migrare in maniera irregolare.


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