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Delega non autosufficienza, ultima chiamata

Venerdì 17 settembre, il Consiglio dei Ministri avrebbe dovuto approvare il decreto di legge delega della riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti, previsto dal Pnrr. Non è stato così. Ora si guarda al Consiglio dei Ministri del 28 settembre, il primo dopo le elezioni. L’ultima occasione, letteralmente, per approvarlo. Perché quella della non autosufficienza dovrà essere la grande riforma della prossima legislatura

di Sara De Carli

Venerdì 17 settembre, il Consiglio dei Ministri avrebbe dovuto approvare il decreto di legge delega della riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti, previsto dal Pnrr. Un testo frutto di un lavoro intenso, quasi tutto dietro le quinte, che in molti punti riprene le proposte del Patto per la Non Autosufficienza . Testo pronto, ci aveva confermato più di una persona, dentro e fuori i ministeri, con la soddisfazione dettata dalla consapevolezza che la riforma della non autosufficienza è davvero un tema che tocca la vita quotidiana delle persone, almeno 10 milioni fra anziani non autosufficienti, famiglie, operatori di settore. Uno di quei temi veri, come le bollette, su cui la campagna elettorale tace.

Non è stato così: in CdM il decreto non ci è andato. Nessun ripensamento, dicono: solo una mole oggettiva di decreti urgenti legati alle scadenze del Pnrr (anche questo lo è, sebbene con tempistiche meno urgenti, e il suo essere incardinato nel Pnrr è l’esatto motivo per cui la riforma può essere approvata anche da un Governo in modalità “affari correnti”). Ora si guarda al Consiglio dei Ministri del 28 settembre, il primo dopo le elezioni. L’ultima occasione, letteralmente, per approvarlo.

Più di una volta abbiamo elencato le ragioni per cui una riforma di sistema della non autosufficienza è necessaria per il Paese. Innanzitutto c’è la cruda demografia: oggi in Italia ci sono circa 3.8 milioni di anziani non autosufficienti, pari al 5% della popolazione e il loro numero è destinato a raddoppiare entro il 2030. Impossibile dare risposte adeguate ai loro bisogni con un impianto di sistema che non sia più che adeguate alle nuove necessità. Negli altri Paesi la riforma della non autosufficienza è stata fatta da anni (Austria nel 1993, Germania nel 1995, Francia nel 2002, Spagna nel 2006) e questo ha modificato strutturalmente il settore. Secondo, l’offerta dei servizi: quella attuale in Italia, è frammentata e scarsa. Uno dei problemi più grossi delle attuali risposte alla non autosufficienza è il debole coordinamento fra i vari passaggi: occorre superare la frammentazione con una valutazione unica. L’Adi – che pure è l’intervento principale, con una spesa che supera il miliardo e mezzo – oggi copre solo il 6,2% degli over65, con un intervento medico-infermieristico che dura non più di 2-3 mesi. Il Sad dei Comuni d’altro canto, la prestazione di stampo sociale, conta su una spesa annua risibile, pari a 347 milioni di euro e si rivolge essenzialmente solo alla marginalità. Difficile perseguire la tanto sbandierata integrazione sociosanitaria se le risorse sui due strumenti sono così sbilanciate. Terzo fronte, la residenzialità. La pandemia ci ha obbligati a mettere a tema l’abitare delle persone anziane, disabili, fragili: si è detto che la RSA è un modello superato, ma nei fatti l’idea di buttare a mare la residenzialità in favore esclusivo della domiciliarità è folle e impraticabile. Tutte le esperienze e gli studi dicono da anni che quella di residenzialità e domiciliarità deve essere una sola filiera di servizi, in un continuum assistenziale.


Dopo tre commissioni/gruppi di lavoro, rimandare al nuovo esecutivo l’approvazione del decreto significa inevitabilmente rimettere mano al testo, ricominciare daccapo e allungare i tempi, mentre il Pnrr prevede che la legge sia approvata dal Parlamento entro la primavera 2023: è dietro l’angolo. Approvare il decreto legge su cui oggi si è trovata la quadra significa invece avere una buona base di partenza per avviare un lavoro migliorativo che coinvolga nei prossimi mesi sia il Parlamento sia la società civile, così da arrivare ad approvare una legge adeguata a rispondere alle sfide che i tempi ci presentano. Il testo attuale, infatti, definisce una prima impalcatura del nuovo sistema nazionale di assistenza agli anziani (SNA), da dettagliare e migliorare e per cui la cui attuazione – altra partita importantissima dei prossimi mesi – trovare risorse. I punti di forza sono quattro: semplificazione del sistema di valutazione, con un’unica valutazione nazionale e una regionale, collegate fra loro, al posto delle 5 o 6 attuali; la previsione che ad ogni livello di governo le risorse vengano programmate insieme, sociale e sanità; una impostazione della domiciliarità in senso non prestazionale, con un mix di interventi più ampio dell’attuale e per la durata necessaria; una indennità di accompagnamento che cresce in importo se utilizzata per servizi alla persona o per il pagamento di badanti regolari.

Mettiamo la prima pietra, si approvi il decreto legge. E dal giorno dopo l’insediamento del nuovo Parlamento e del nuovo Governo, si lavori per migliorare il testo: per esempio sulle badanti e sulla residenzialità, dove sono state opportunamente superate ipotesi “punitive” verso le Rsa ma occorre fare uno sforzo di costruzione di proposta per una nuova residenzialità. Quella della non autosufficienza può essere la grande riforma sociale della prossima legislatura e c’è bisogno davvero del contributo di tutti.

Photo by Eduardo Barrios on Unsplash


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