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Calenda: il mio impegno per un servizio civile da 80mila ragazzi l’anno

"Investire nel Servizio Civile Universale significa dare fiducia ai giovani e ai modelli generativi attivati sul territorio, e investire in un modello di cittadinanza attiva, inclusione e solidarietà unico nel nostro Paese". Intervista al leader del Terzo Polo (Azione-Italia Viva). E sul ruolo politico del Terzo settore, sui Corpi civili di pace e piano Marshall per l'Africa ci dice che...

di Redazione

Abbiamo invitato i leader dei quattro maggiori schieramenti in corsa per le politiche del 25 settembre (Fdi, Pd, Azione-Italia Viva e Movimento 5 Stelle) a interloquire su cinque temi centrali per il Terzo settore. A partire dal suo ruolo politico. Qui il dialogo con Carlo Calenda (Azione-Italia Viva), che ha preferito fare l'intervista per iscritto. Nei giorni scorsi avevamo pubblicato quello con Giorgia Meloni.

Il ruolo politico del Terzo settore. Il Terzo settore ancora oggi è considerato e trattato sostanzialmente come fornitore di servizi (spesso sottopagati) e non come soggetto partner nel disegno delle politiche di welfare e sviluppo come prevedono le nuove norme su co-programmazione e co-progettazione. Qual è la sua posizione su questo snodo?
Le norme sulla co-programmazione e co-progettazione richiedono alla pubblica amministrazione un cambio di passo culturale e di competenze, oltre che di risorse in grado di garantire percorsi stabili di intervento. La pandemia ha messo in evidenzia quanto spesso gli strumenti a disposizione siano insufficienti, e si siano ampliati i divari generazionali, di genere e geografici. Gli enti del terzo settore svolgono una funzione fondamentale a sostegno delle politiche sociali degli enti locali e certamente prima ancora di essere considerati dei meri fornitori di servizi sono dei portatori di competenze e di valore che perseguono obiettivi di interesse generale. Non a caso la sentenza della corte costituzionale che nel 2020 ha sdoganato i modelli di amministrazione condivisa tra Terzo settore e pubblica amministrazione ha parlato di un modello alternativo al profitto e al mercato. Assenza di scopo di lucro non significa, appunto, assenza di produttività. Per questo proponiamo di estendere il pacchetto di industria 4.0 che ho introdotto come ministro durante il governo Renzi, anche agli enti del Terzo settore per fornire ulteriori strumenti di innovazione e formazione. Il non profit in quanto rappresentativo della società solidale crea un modello di economia basato sulla sussidiarietà. La riforma del Terzo settore ha messo una prima pietra e ora questo percorso va valorizzato e ultimato. Stare al passo della riforma significa prendere atto che il Terzo settore non è più, appunto, “terzo” rispetto allo Stato e al Mercato, ma assume un nuovo ruolo nella nostra economia adattandosi in modo più flessibile ai bisogni della comunità rispetto alla rigidità di intervento che spesso caratterizza le istituzioni. Se si dovesse fermare il Terzo settore, si bloccherebbe il Paese. È l’unico settore che ha mostrato tassi di crescita costanti in questi anni, e con l’aumento dei costi energetici e delle forniture rischia davvero il collasso e bisogna intervenire con misure di sostegno incisive ed immediate. Il non profit rappresenta il nostro cuore pulsante, in grado di coinvolgere oltre 360mila realtà che hanno tutte le potenzialità per ridisegnare nuove forme di sviluppo per le politiche del welfare, per dare risposta alle periferie umane della solitudine, e per favorire la transizione sostenibile a partire dalle aree del Paese cosiddette marginali in cui mancano servizi e opportunità. Il reddito di inclusione sociale, ben diverso dal reddito di cittadinanza che monetizza i bisogni senza prevedere un coinvolgimento di chi come enti locali e terzo settore ha già dimostrato di sapere fornire risposte, era il primo esempio di collaborazione fattiva da implementare. La Riforma del Terzo settore, un percorso avviato proprio durante il governo Renzi, riconosce proprio questo modello generativo di creazione di valore economico e sociale. Bisogna concluderla con l’approvazione in Europa del pacchetto di misure fiscali, ed è venuto il momento di considerare il non profit come un settore in cui investire e non soltanto cui destinare risorse in modo assistenzialistico e residuale.

Il Presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato sostiene che i partiti per superare la loro crisi di rappresentanza dovrebbero aprire le porte a chi ha esperienza di volontariato e attivismo civico. A giudicare dalla presenza di chi arriva dal Terzo settore nelle liste elettorali, incluso il Terzo polo, questa apertura non si è verificata. Non crede sia stata un'occasione mancata? E, se avrete responsabilità di governo, come intende dialogare col Terzo settore?
In realtà all’interno delle nostre liste ci sono candidati che in questi anni hanno già dimostrato con gli atti, e i risultati in parlamento, di sapere attivare quel dialogo costruttivo con il terzo settore in molti ambiti e attività di interesse generale. Dall’economia circolare, alle politiche per la famiglia piuttosto che rispetto a sanità, sport, servizio civile universale, scuole paritarie, disabilità e inclusione lavorativa. Da qui ripartiremo nella prossima legislatura, la collaborazione con il mondo del Terzo settore è fondamentale proprio perché non riguarda solo gli enti in sé ma una platea molto più ampia, composta da oltre 5 milioni di volontari e quasi 1 milione di lavoratori. Si tratta di un tessuto sociale portatore di sensibilità che nascono da un contatto diretto con i bisogni dei cittadini. Questo grande patrimonio è chiaro che deve essere visto dalla politica con molta attenzione anche per reclutare chi effettivamente possa instaurare un dialogo concreto con questa parte imprescindibile della nostra società. La scuola del Terzo settore e l’esperienza sul campo dei volontari è un patrimonio cui dare voce, e che i partiti devono sapere interpretare e valorizzare nella attività legislativa così come nella definizione di risorse e programmazione delle politiche.

Credo che anche la promozione dei corpi civili di pace europei potrebbe essere un segnale di coesione e unità in grado di garantire quei sistemi valoriali di pace che sono alla base della nostra carta costituzionale e dei trattati UE

Servizio civile universale. Dal lancio di Next generation Eu i giovani avrebbero dovuto essere un tema centrale per la politica. Oggi a fronte di 100/120mila domande l'anno, il servizio civile (che la legge definisce universale, ovvero aperto a tutti quelli che ne fanno domanda) è di fatto riservato a una quota di 50/55mila giovani. Gli enti attuatori (Terzo settore e comuni), chiedono di arrivare almeno a quota 80mila. Si sente di prendere un impegno in questo senso?
Anche su questo tema il nostro è un sì convinto, perché è una battaglia che abbiamo già condotto con coraggio in parlamento e con le nostre ministre in consiglio dei ministri. Quando alcune scelte della ministra grillina Dadone rischiavano di minare addirittura l’impianto del modello costruito con gli enti, abbiamo saputo creare quel consenso dentro e fuori il parlamento che ha bloccato inutili fughe in avanti. Sono sempre stato dell’idea che le competenze non nascano solo dal modello educativo frontale, bensì dalle esperienze virtuose che sono una grande ricchezza per la formazione dei giovani. Investire nel Servizio Civile Universale significa dare fiducia ai giovani e ai modelli generativi attivati sul territorio, e investire in un modello di cittadinanza attiva, inclusione e solidarietà unico nel nostro Paese. Si chiama Servizio Civile Universale proprio perché è una grandissima occasione che consente ai giovani di maturare esperienze a tutto tondo, sia in Italia che all’estero e anche questo ultimo aspetto va potenziato perché anche su questi valori si deve fondare la costruzione di una nuova Unione Europea in grado di rispondere alle aspettative dei cittadini. Occorrerà dunque permettere agli enti locali e al Terzo settore di massimizzare al meglio questo istituto che ha già una sua disciplina e che necessita di fondi stabili per garantire l’accesso a quanti più giovani possibile e garantire agli enti una programmazione stabile.

Ucraina. La sua posizione a fianco del popolo ucraino vittima dell'aggressione russa è limpida. Si parla però molto di guerra e poco di pace. Dalla società civile che in questi mesi si sta impegnando a fianco degli ucraini e che sostiene la necessità di supportare la loro resistenza si leva la richiesta alla politica nazionale ed europea della costituzione di un corpo civile di pace europeo. In Italia è partita una piccola sperimentazione finita però su un binario morto; ritiene auspicabile un rilancio di questo strumento?
La mia posizione a fianco del popolo ucraino è sempre stata piuttosto chiara. Esiste un aggressore, la Russia, e uno Stato sovrano aggredito, l’Ucraina. Un popolo oppresso deve essere messo nelle condizioni di potersi difendere, e l’Italia ha fatto la sua parte. La risposta del presidente Draghi e del parlamento italiano è stata netta, e determinante nel garantire il nostro baricentro nella alleanza atlantica anche promuovendo l’ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia. Allo stesso modo chi oggi in campagna elettorale, come Matteo Salvini, critica le sanzioni alla Russia per raccogliere qualche consenso, sta ingannando i cittadini e compromettendo quel necessario lavoro diplomatico che la comunità internazionale deve attivare. La Russia usa la questione energetica e degli approvvigionamenti alimentari come ulteriore arma di offesa, mettendo a dura prova le nostre comunità e gli equilibri geopolitici. Per questo l’Italia e L’Europa devono mantenere una posizione ferma e unita. Allo stesso tempo vanno costruite le condizioni per la pace, facendo leva anche sulla capacità della società civile di tenere vivo quel fiume carsico di speranza e umanità per sanare le cicatrici che ogni conflitto lascia dietro di sè nel tempo. L’utilizzo di caschi blu della cultura in molti passaggi della nostra storia recente avrebbe potuto fare la differenza, e credo che anche la promozione dei corpi civili di pace europei potrebbe essere un segnale di coesione e unità in grado di garantire quei sistemi valoriali di pace che sono alla base della nostra carta costituzionale e dei trattati UE.

Immigrazione. Al di là delle polemiche stanche su salvataggi e accoglienza, tutte le previsioni dicono che il numero di persone che dall'Africa vorranno venire in Europa è destinato a crescere e di molto nei prossimi anni; ritiene possibile tornare a pensare a un vero piano Marshall sociale ed economico per l'Africa (ne aveva parlato Renzi a sui tempo), dove le politiche di cooperazione e sviluppo possano giocare un ruolo cruciale?
Oggi abbiamo alcuni nervi scoperti che rischiano di cambiare lo scenario geopolitico internazionale e determinare fenomeni migratori senza precedenti. Gli effetti dei cambiamenti climatici, la crisi idrica e alimentare, l’urgenza di promuovere percorsi educativi e di formazione sono la vera sfida da cogliere per un rinnovato rapporto con l’Africa in una ottica di cooperazione internazionale intesa come capitolo di investimento e non di spesa. Bisogna iniziare a costruire ponti duraturi di reciproca collaborazione. Sul sistema di accoglienza, bisogna superare in Europa gli egoismi dei singoli e creare un sistema europeo comune di asilo. Nel nostro Paese, occorre rendere più efficiente ed efficace la gestione del sistema di accoglienza e soprattutto la piena integrazione delle persone immigrate attraverso il lavoro e l’educazione. Anche questo si può fare in una ottica di co-programmazione sussidiaria con enti locali, Terzo settore e imprese. Sempre in tema immigrazione inoltre riteniamo necessario ripristinare il sistema degli SPRAR, reintrodurre la figura dello sponsor per facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro internazionale e vogliamo regolarizzare gli immigrati irregolari che hanno un lavoro.


Foto: Ag. Sintesi


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