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Oltre i muri, oltre i mari: l’Europa che si difende a est e sud dai migranti

Esce oggi "Oltre i muri, oltre i mare" un’analisi realizzata dai giornalisti di Openpolis con il Collaborative and Investigative Journalism Initiative. «Ci siamo concentrati su due Paesi», spiega Mattia Fonzi, giornalista di Openpolis che ha partecipato al lavoro, «l’Ungheria e l’Italia, che sono centrali nelle rotte migratorie nel vecchio continente». I due Paesi rappresentano da quasi un decennio punti di approdo importanti per i migranti, rispettivamente a sud e a est del continente. E ci sono legami politici e ideologici tra Viktor Orban e i partiti delle destre italiane

di Anna Spena

"In automobile attraversando il confine tra Ucraina e Ungheria. Prendendo un bus che porta in Italia. A piedi dall’Afghanistan fino in Bosnia Herzegovina, ai confini dell’Unione europea. Salendo su una barca fino alle coste italiane, dopo aver attraversato il Mediterraneo. O tentando di scavalcare un muro in Marocco, oltre il quale si apre il sogno dell’Europa”. Inizia così il lavoro di ricerca realizzato da Openpolis con il Collaborative and Investigative Journalism Initiative (Ciji), che ha sostenuto 10 reportage "cross border", cioè transnazionali, che prevedevano la collaborazione di team in più paesi europei.

«Grazie al supporto del Collaborative and investigative journalism initiative (Ciji), abbiamo costituito un team transnazionale italiano-ungherese formato da giornalisti e data journalist di entrambi i Paesi», spiega Mattia Fonzi, giornalista di Openpolis che ha partecipato al lavoro. «Lo scopo è stato indagare il fenomeno migratorio in Italia e Ungheria, attraverso i dati e un reportage sul campo».

È nato così “Oltre i muri, oltre i mari”, un reportage longform sull’accoglienza di migranti in Europa. Perché proprio questi due Paesi? Perché rappresentano da quasi un decennio punti di approdo importanti per i migranti, rispettivamente a sud e a est del continente. Perché ci sono legami politici e ideologici tra Viktor Orban e i partiti delle destre italiane, che potrebbero governare il Paese. Perché rappresentano due esempi emblematici di come l’Unione europea, a quasi 10 anni dall’inizio della cosiddetta “crisi dei migranti”, ha deciso di non decidere, non si è riformata in base alle esigenze dei tempi, abbandonando al proprio destino milioni di persone, lasciando il tema per lo più a politiche nazionali, spesso poco rispettose dei diritti umani.

«Attraverso l’analisi dei dati», continua Fonzi, «abbiamo disegnato un quadro dei fenomeni migratori in Italia e in Ungheria, sia per quanto riguarda i profughi ucraini che i richiedenti asilo e rifugiati di altri paesi extra-Ue. Se il sistema italiano è caratterizzato da un approccio cronicamente emergenziale, nonostante i numeri degli sbarchi sulle coste siano drasticamente diminuiti negli ultimi 5 anni, il sistema ungherese è mutato negli ultimi 7 anni, a causa di politiche restrittive nei confronti dell’asilo umanitario o politico. Accade così che, solo nei primi 7 mesi del 2022, siano state respinte e arrestate oltre 130mila persone al muro sul confine tra Serbia e Ungheria, voluto nel 2015 dal governo Orban».

“Nonostante le sanzioni delle istituzioni europee”, si legge nel lavoro, “l’esecutivo magiaro continua con la sua politica di chiusura ai profughi non ucraini che tentano di entrare in Ungheria. La maggior parte dei quali, peraltro, vogliono solo attraversarla per raggiungere altri paesi del continente. Dopo alcune modifiche legislative, attualmente è permesso l’ingresso nel Paese da sud solo dopo una lunga e contorta trafila burocratica all’ambasciata ungherese a Belgrado. Un percorso creato di proposito per scoraggiare le richieste, in un’iniziativa che ha drammaticamente dimostrato tutta la sua efficacia. Nel 2021, infatti, gli asili concessi in Ungheria sono stati solo 42, a fronte di migliaia di permessi rilasciati negli altri paesi europei. Fatti e dati che stridono con l’apertura e l’inclusività che ha dimostrato il governo nei confronti dei profughi ucraini. Questo emerge anche dalle testimonianze dei rifugiati che abbiamo incontrato sia in Italia che in Ungheria. Inna, infatti, è una lavoratrice ucraina del terziario avanzato che fino a febbraio viveva a Kiev e oggi ha trovato, senza enormi difficoltà, rifugio a Budapest. Haseeb, invece, è un giovane pakistano che dopo due anni di cammino, tra difficoltà e violenze, è riuscito a oltrepassare illegalmente il muro che divide la Serbia dall’Ungheria e oggi è rifugiato all’Aquila. Storie diverse che tuttavia raccontano entrambe delle debolezze e dell’ipocrisia che attraversano l’Unione europea quando si tratta di difendere i diritti delle popolazioni vessate nel mondo”.

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La ricerca (a questo link la versione integrale)

Ungheria e Italia porte d’Europa a est e sud

Quella che chiamiamo la crisi europea dei migranti ha avuto inizio nel 2013. Sembra passato molto tempo da quando un numero sempre crescente di persone ha iniziato a muoversi, a piedi o con mezzi di fortuna, in cerca di asilo in Europa. L’anno che segna la svolta è il 2015: in quei mesi, secondo l’Ue 1,8 milioni di persone si sono trovate ai confini del continente, provenienti da zone di guerra come la Siria, l’Iraq, l’Afghanistan, ma anche la Libia, il Mali o il Burkina Faso. Parliamo di viaggi molto pericolosi. Infatti si stima che in quel periodo siano morte almeno 1.200 persone in sole cinque imbarcazioni affondate nel mar Mediterraneo. Viaggi che spesso portano con sé sofferenza e violazioni di diritti fondamentali. È in questo contesto che, come vedremo in avanti, sempre nel 2015 inizia la costruzione del “muro di Orban” sul confine serbo-ungherese. Oggi i dati raccontano di cifre più modeste in relazione agli arrivi. Non perché si parta di meno, si muoia di meno o perché siano state avviate politiche pubbliche di riequilibrio socio-economico nei paesi di provenienza, ma perché si sono aggravate negli anni politiche repressive e contenitive del fenomeno migratorio, fino a farle passare come consuete in diversi paesi Ue. Inoltre si tenta, a livello comunitario, di limitare gli arrivi esternalizzando le frontiere al di fuori dell’Unione, attraverso accordi onerosi come quello siglato tra Ue e Turchia nel 2016. Intese che hanno l’obiettivo di tenere il problema lontano dagli occhi e dal cuore dei popoli europei. Come il memorandum con la Libia firmato nel 2017, le recinzioni che separano il territorio marocchino dalle exclave spagnole Ceuta e Melilla, o i campi di detenzione sulle isole greche.

L’Ungheria si attraversa, in Italia ci si stabilisce

Da marzo a maggio 2022 circa un milione di ucraini e ucraine hanno attraversato il confine ungherese. L’Ungheria è uno dei 7 stati confinanti con l’Ucraina, per questo l’esodo di profughi è stato massiccio. Tuttavia, su un milione di attraversamenti meno di 30mila persone hanno fatto domanda di protezione temporanea (il dispositivo per gli ucraini attivato dall’Ue). Questo suggerisce che l’Ungheria è luogo di attraversamento ma non di stanziamento per gli ucraini. In Italia la situazione è opposta: a fine luglio il 94% dei 157mila rifugiati ucraini aveva chiesto il permesso temporaneo per il soggiorno nel paese.

Le politiche migratorie in Ue

In Europa è ancora in vigore il trattato di Dublino, firmato nel 1990 nella capitale irlandese. Si tratta di un regolamento secondo il quale le responsabilità di esaminare le domande di asilo ricadono, salvo alcune eccezioni, sullo stato membro in cui il migrante che richiede asilo è entrato, varcando le frontiere in modo irregolare. Senza quindi prevedere alcuna responsabilità per gli altri paesi Ue. Questo meccanismo crea inevitabilmente una situazione iniqua in Europa, perché l’ospitalità e le richieste di asilo ricadono principalmente sui primi paesi d’approdo, come l’Italia (nel caso della rotta mediterranea) e l’Ungheria (nel caso della rotta balcanica), che si vedono inoltre ritornare i migranti che si spostano in altri paesi europei dopo essere passati dai loro territori. Nonostante sia stato modificato prima nel 2003 e poi nel 2013, l’impianto sostanziale del trattato è ancora oggi vigente. E si affianca alle politiche di respingimento alle frontiere esterne dell’Ue, che contraddicono nei fatti i valori su cui è fondata l’Unione, primo fra tutti la difesa della dignità e dei diritti umani. In questo senso Bruxelles negli anni ha stretto accordi con i regimi nordafricani per la rotta mediterranea e con quello turco per la rotta balcanica, affinché trattengano nei loro territori i migranti che cercano di raggiungere l’Europa. L’obiettivo è ridurre gli arrivi, marginalizzando il problema dal punto di vista dell’impatto pubblico. Con la conseguenza di condannare migliaia di esseri umani alla detenzione nelle carceri libiche o alle violenze nei rimpatri al confine turco, come denunciato da numerose inchieste giornalistiche e da diverse organizzazioni per i diritti umani. Un’ulteriore forte contraddizione delle istituzioni comunitarie è emersa di recente, a fronte della crisi dei rifugiati ucraini. È risultata infatti evidente la disparità di trattamento dei profughi di guerra ucraini rispetto a quelli provenienti da altri paesi in conflitto. Per i primi, infatti, è stata attivata una direttiva che permette agli ucraini di circolare in Europa e di richiedere con facilità una forma di protezione, al contrario negata a centinaia di migliaia di persone provenienti da altri paesi in guerra.

In Ungheria non si richiede asilo

Nel 2020 solo 117 persone hanno fatto domanda di asilo in Ungheria. Questo numero ci racconta di come non sia permesso agli extra-comunitari non ucraini di chiedere asilo nel Paese. Nello stesso anno, infatti, i paesi confinanti hanno ricevuto migliaia di domande: oltre 6mila la Romania e più di 3mila sia la Slovenia che la Bulgaria.

Un percorso creato per escludere

Solo 42 persone hanno ricevuto il diritto di asilo in Ungheria nel 2021. Si tratta perlopiù di minori. Questo dato eccezionale è motivato dal fatto che tutti i migranti al confine tra Serbia e Ungheria vengono considerati irregolari. Devono pertanto inoltrare richiesta di asilo dall’ambasciata ungherese a Belgrado, in Serbia, ma il percorso è lungo e complicato.

L’emergenza (che non c’è) infinita

Nei primi 7 mesi del 2021 sono sbarcate circa 67mila persone sulle coste italiane. Un dato in aumento rispetto al 2020 ma di molto inferiore agli anni della “crisi europea dei migranti”. Nonostante l’Italia abbia a che fare con il fenomeno delle migrazioni dal nord Africa da quasi un decennio, l’approccio è ancora emergenziale. Basti pensare che 7 richiedenti asilo su 10 si trovano in “centri di accoglienza straordinaria”. Se analizziamo i dati, notiamo come i due anni in cui sono stati in vigore i decreti sicurezza abbiano inciso anche sugli esiti delle richieste di asilo, a causa dell’eliminazione della protezione umanitaria. Nel 2017 e nel 2018 le domande rifiutate su quelle esaminate erano rispettivamente il 58% e il 67% e nel biennio successivo queste percentuali sono salite all’81% nel 2019 e al 76% nel 2020, per poi tornare al 58% (circa 30mila dinieghi su 52mila domande esaminate) nel 2021, quando i decreti sicurezza erano stati superati. Nei primi mesi del 2022, invece, la situazione è del tutto diversa a causa della guerra in Ucraina. Sono state esaminate più di 38mila richieste, molte di più rispetto allo stesso periodo degli anni precedenti. Basti pensare che nel primo trimestre del 2021 le istanze prese in esame erano meno di diecimila.

Credit Foto Andrea Mancini


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