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La vita di Gesù, ecco il commovente dialogo nel carcere di Opera

La presentazione del libro di Andrea Tornielli, diventa occasione di uno straordinario dialogo tra l'autore, l'arcivescovo di Milano, Roberto Vecchioni e i detenuti. Su Gesù, il perdono, la speranza. Grazie a Arnoldo Mosca Mondadori e al direttore del carcere Silvio Di Gregorio

di Riccardo Bonacina

Solo Arnoldo Mosca Mondadori poteva organizzare l’incontro di presentazione dell’ultimo libro di Andrea Tornielli, Vita di Gesù (Piemme), all’interno del carcere di Opera dove con la Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti già opera con progetti sociali, come “Il senso del pane” che mette al lavoro i detenuti per produrre ostie, o “Metamorfosi” il progetto che ha riutilizzato il legname dei barconi dei migranti, recuperato nell’isola di Lampedusa, trasformandolo, nei laboratori di liuteria e falegnameria del carcere in strumenti musicali – violini, viole e violoncelli. Mosca Mondadori e il direttore del carcere Silvio Di Gregorio sono stati i fautori di questo incontro in cui il bel libro di Tornielli (direttore dei media vaticani) è stato occasione di una conversazione autentica e profonda che ha coinvolto autore, ospiti, l’arcivescovo di Milano Mario Delpini, il cantautore Roberto Vecchioni, oltre a tre detenuti sul palco, Claudio, Vincenzo e Carlo, e poi altri per interventi spontanei e giustamente liberi

«La vita di Gesù non è un libro – ha sottolineato l’Arcivescovo -, ma un compagno di viaggio e la sua vita è un racconto che non vuole essere un romanzo, non una cronaca che racconta, ma che testimonia. È una vita scritta nella carne e nei sentimenti. Il Papa raccomanda un contatto diretto e quotidiano con i Vangeli e anche questo libro è un amico che propone una conversazione, non unicamente una lettura». Ecco una conversazione vera come quella che si è sviluppata nel teatro del carcere di Opera. Grazie agli interventi dei detenuti che fanno domande dirette, senza allocuzioni inutili o giri di parole.

Chiedono a Vecchioni “ma perchè Gesù perdona tutti ma fa fatica a perdonare gli ipocriti?” E il cantautore, “Ha ragione Gesù e lo capiamo tutti. Gli ipocriti, quelli che dicono una cosa e ne pensano un altra, sono quelli che fanno arrabbiare di più anche me e anche voi, ne sono certo”. Applausi.

E all’autore del libro (che poi verrà regalato auna cinquantina di detenuti “a patto che poi passi di mano in mano”, si raccomanda Mosca Mondadori) viene chiesto perchè nel libro, che racconta in una fedele cronologia la vita di Gesù a tre voci, quella di Tornielli, quella dei Vangeli e quella di papa Francesco, parli così frequentemente degli sguardi.

Tornielli spiega come abbia cercato di essere lui stesso un personaggio presente agli episodi raccontati in un esercizio di immedesimazione, “perchè il Vangelo deve diventare qualcosa che accade oggi”, risponde: «Il Vangelo è pieno di sguardi, basti pensare al miracolo delle nozze di Cana (come la Madonna avrà guardato Gesù affinchè lui tramutasse l’acqua in vino dopo il rifiuto infastito iniziale?), o a Zaccheo (lo sguardo di Gesù su di lui e l’invito a casa sua) o all’incrocio degli sguardi di Gesù e di Pietro che, pur avendolo rinnegato tre volte, si sente perdonato e piange. L’incontro con Gesù non è una teoria, un’idea, ma passa attraverso i suoi sguardi di amore e di misericordia immensa».

Ancora un detenuto a Delpini, “come è possibile che le scene descritte nei Vangeli accadano ancora oggi?”. E l’arcivescovo: «È possibile se manteniamo lo stupore, lo stupore di essere buoni anche se abbiamo l’etichetta dei cattivi, lo stupore di fronte ai nostri gesti di bene: questo è il primo passo della fede, che non è solo un pensiero, ma una decisione. Guardando Gesù e le sue ferite, scoprendo il suo amore per noi, ci scopriamo capaci di amare».

E alla domanda fatta a Tornielli su quale sia la sua preghiera preferita, è scoppiato un applauso convinto quando l’autore ha confessato di amare molto una preghiera del neo beato papa Albino Luciani “Signore, prendimi come sono, con i miei difetti, con le mie mancanze, ma fammi diventare come tu mi desideri”.

Uno dei momenti più commoventi è stato quando l’intero auditorium, ristretti e ospiti, in assoluto silenzio hanno ascolta la Canzone del perdono di Roberto Vecchioni, composta per papa Francesco. La canzone dice “Perche non c'è niente nella vita di un uomo/
niente di cosi grande come il perdono/ Niente di così infinito come un perdono”

Si può chiedere perdono anche a chi non c’è più? È l’ultima, straziante domanda di un altro detenuto che ammette di aver fatto del male, molto male a qualcuno: «Le persone che muoiono sono presso Dio, e se chiedi perdono con intensità vedrai come una luce amica, un sorriso, che arriva da un luogo che non riusciamo a immaginare e che dice: “Sei perdonato”», conclude l’Arcivescovo Mario, prima che, suggellando l’incontro, ognuno dica cosa sia la speranza.

Per Vecchioni, l’amore. Per un recluso, «fare le ostie» (a cura della Fondazione da tempo a Opera vi è un laboratorio di produzione). Per un altro, la famiglia. Per Tornielli, «sapere che c’è qualcuno che mi vuole bene così come sono». Per Mosca Mondadori, «la pace con sé stessi». Per l’Arcivescovo, «una promessa che chiama, che fa sì che il tempo sia luogo di responsabilità, una promessa fatta da Dio che responsabilizza sul presente».


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