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Economia & Impresa sociale 

Esg, c’è una “esse” da far crescere

Environment, Social e Governance, i criteri che orientano la responsabilità sociale di impresa, così potentemente al centro della comunicazione corporate, denunciano, nell'applicazione, una preoccupante debolezza dell'area sociale. VITA di ottobre, già disponibile per gli abbonati e acquistabile online, e in edicola dal 14, cerca di analizzarne le ragioni, osservando la documentazione di impatto delle principali quotate, ascoltando i manager, interpellando studiosi e attivisti

di Giampaolo Cerri

La Esse di Esg, i criteri che orientano l’azione socialmente responsabile delle imprese, è debole e deve crescere. Lo dicono, lo ammettono, con diversi toni e da diverse angolazioni, le decine di studiosi, manager, attivisti che VITA ha interpellato per il numero di ottobre, dedicato proprio agli Esg che potete già acquistare a questo link e che sarà in edicola il prossimo 14 ottobre.

Un numero che prova a disegnare i contorni del fenomeno, a dare risalto a voci autorevoli e documentate, a sottolineare i chiari – le buone pratiche che per fortuna non mancano – e gli scuri, come per esempio il rischio, latente, di social washing, così come abbiamo assistito al “lavaggio” “verde”, ma anche rosa o iridato, di molte società.

Il primo capitolo, curato da Nicola Varcasia, traccia un primo perimetro della questione, dialogando col professor Francesco Perrini dell'università Bocconi, un grande esperto di social responsibility, mette il naso sulle prime 20 società quotate al Ftse Mib di Milano, analizzandone i documenti di impatto sociale, costruisce, con l’apporto del nostro art director, Matteo Riva, un’interessante infografica della “esse” corta, con alcuni indicatori tratti dai rapporti Cerved, AsviS e Istat, che certificano il ritardo del “social” sul famoso acronimo. L’articolo dà voce anche agli amministratori o ai responsabili csr di quattro grandi quotate: Remo Ruffini per Moncler, Roberto Giovanni per Terna, Fiona Melrose di Unicredit e Giulia Genuardi di Enel.

Tassonomia, indici, ritardi ma anche best practices

A corredo, la severa analisi di Mario Calderini del Politecnico di Milano, intervistato dal direttore di VITA, Stefano Arduini. Grande esperto di csr, Calderini introduce il tema della misurabilità delle performance sociali e dell’utilità o meno (lui per esempio è scettico) di una tassonomia sul modello di quella “green” già adottata dall’Europa. Una tassonomia che, viceversa, auspica, convinto della sua utilità, Francesco Bicciato, direttore del Forum della Finanza sostenibile, ossia di quel mondo che, per statuto o per vocazione, ricerca proprio le realtà economiche responsabili per investire il risparmio raccolto.

Lo sguardo degli operatori finanziari lo porta invece Filippo Addarii, fondatore di PlusValue, che racconta come spesso il mondo dell’investimento guardi agli Esg come a un’operazione di marketing e di come, invece, specialmente la finanza a impatto debba osservare con attenzione il fenomeno. Nello stesso capitolo Rossella Sobrero, storica organizzatrice del Salone della Csr, mette in guardia dai rischi del social washing invitando i consumatori, investitori, operatori a essere responsabili mentre due tecnici del mondo del consulting, Gaia Giussani di PwC e Riccardo Giovannini di EY, spiegano come molto spesso sia difficile convincere le aziende clienti del fatto che anche gli investimenti sociali creino valore.

Al mondo del Terzo settore si rivolge invece, Serena Porcari, presidente e ceo di Dynamo Academy, invitando le organizzazioni non profit a dar conto in maniera più efficace della propria azione, aiutando così le aziende a leggere come investimento e non come marketing il proprio eventuale intervento.

Segue quindi una carrellata di otto realtà dei settori che per primi si sono impegnati socialmente in Italia: il bancario e il farmaceutico. Anche in questo caso la parola va a chi ha la responsabilità delle società o del comparto csr: parlano Elena Fior di Intesa Sanpaolo, Nazzareno Gabrielli di Banca Etica, Mauro Pastore di Iccrea Banca, Giovanna Giusti del Giardino di Mediobanca, Matteo Cidda di Banca Bpm, Sandro Bolognesi di Cassa Centrale Banca, Alessandro Aquilio di Sanofi Italia e Chiara Ronchetti di Janssen Italia.

Pensare gli Esg

Si sposta dalla prassi al pensiero, il terzo capitolo, con l’intervista del direttore Arduini al gesuita Gael Giraud, economista di Georgetown che ha collaborato alla stesura della Laudato Si’. Lo studioso svolge una puntuale e dura critica al sistema bancario europeo, ancora troppo poco sensibile a una netta transizione ecologica, in quanto finanziatore con 530 miliardi di euro attività industriali basate sull’energia fossile. Per Giraud la via autentica a un’Europa sostenibile è “svoltare” direttamente verso un’economia green, e creare una bad bank sotto il cappello Bce che si accolli questi crediti.

La economista ambientale Phoebe Koundouri e lo studioso di etica nel business, Paul Dembinski, intervistati da Paolo Manzo, con Leonardo Becchetti, massimo esperto di economia civile in Italia, e Pierluigi Stefanini, manager e portavoce dell’Alleanza per lo sviluppo sostenibile, sentiti da chi scrive, completano il quadro, delineando, abbastanza all’unisono per il vero, che l’investimento nel sociale è necessario, il suo impatto, forse di difficoltosa misurazione, è certamente quantificabile, così come la maggiore redditività della aziende che cambiano il clima di lavoro, ascoltano gli stakeholder, a cominciare dai dipendenti, e le comunità.

Nessun alibi, insomma: far crescere quella “esse” si può, anzi si deve. E conviene.

In apertura e qui sotto la cover di VITA Ottobre, illustrata da Undesign Torino


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