Scuola

Non serve il tetto per gli alunni stranieri, serve lo ius scholae

Salvini e Valditara tornano a proporre un tetto per gli alunni stranieri presenti in ogni classe. La realtà qual è? Gli alunni con cittadinanza non italiana superano il 30% degli alunni iscritti nel 6,8% delle classi. Ma se dal conto togliessimo i nati in Italia, scenderemmo di colpo allo 0,5%

di Sara De Carli

Giuseppe Valditara

Prima Matteo Salvini ha detto che «bisogna mettere un tetto di alunni stranieri in ogni classe, per tutela loro e per tutela anche di tutti gli altri bambini. Se hai tanti bambini che parlano lingue diverse e non parlano l’italiano è un caos». La proposta? Il tetto agli alunni stranieri in classe, giacché «un 20% di bambini stranieri in una classe è anche stimolante perché conosci lingue e culture. Ma quando gli italiani sono il 20% dei bambini in classe, come fa una maestra a spiegare?». Tempo un giorno e il ministro Giuseppe Valditara ha ripreso l’idea del tetto: «Se si è d’accordo che gli stranieri si assimilino sui valori fondamentali iscritti nella Costituzione ciò avverrà più facilmente se nelle classi la maggioranza sarà di italiani, se studieranno in modo potenziato l’italiano laddove già non lo conoscano bene, se nelle scuole si insegni approfonditamente la storia, la letteratura, l’arte, la musica italiana, se i genitori saranno coinvolti pure loro nell’apprendimento della lingua e della cultura italiana e se non vivranno in comunità separate».

Una polemica vecchia di quindici anni

La polemica sul tetto per gli alunni stranieri è vecchissima. Qualche tempo fa Massimiliano Fiorucci, presidente della Siped e ordinario di Pedagogia sociale e interculturale all’Università di Roma Tre, citando Balducci ci ha ricordato che questo dibattito palesa il fatto che «viviamo in un mondo globale con una coscienza neolitica». Fu Mariastella Gelmini a introdurre il tema con una circolare ministeriale: un tetto del 30% di alunni stranieri, che però – chiarì successivamente l’Avvocatura dello Stato – «non ha efficacia normativa» ma costituisce soltanto un’«indicazione» interna alla PA per favorire l’integrazione degli alunni stranieri. Era il 2010.

Già quell’anno in Lombardia venne fuori che solo il 16% delle scuole aveva problemi col tetto e aveva chiesto una deroga: tutte le altre scuole nella realtà non avevano quello che per la politica rappresentava “il” problema della scuola italiana. Poi nel 2014 il tetto del 30% venne inserito nelle Linee guida per l’integrazione degli alunni stranieri, che invitava a costituire reti di scuole al cui interno, tramite opportune intese, sia possibile una distribuzione equilibrata degli alunni stranieri. Per garantire il tetto, gli USR potevano anche rivedere i bacini d’utenza e promuovere azioni mirate a regolare i flussi di iscrizioni.

I nati in Italia, la conta che non conta

L’annuale indagine statistica del Ministero sulla presenza delle alunne e degli alunni stranieri nel nostro sistema scolastico per l’anno scolastico 2015/2016 sancì che a livello nazionale il 20,1% delle scuole non aveva nessuno studente straniero, il 59% aveva una percentuale di alunni stranieri che arrivava al massimo al 15%, mentre nel 5,5% delle scuole la quota di studenti stranieri supera il 30%, con 602 scuole in cui gli stranieri sono più della metà degli studenti. A livello territoriale, la distribuzione delle scuole con una percentuale di studenti stranieri superiore al 30% vedeva al primo posto la Lombardia, con il 10,5% delle scuole. Attenzione però: il 60% degli 815mila alunni con cittadinanza non italiana presenti nelle classi era nato in Italia. La stessa nota ministeriale infatti spiegava che «va comunque tenuto conto che all’interno di questi numeri sono inclusi anche gli studenti con cittadinanza non italiana, nati in Italia. In effetti le classi con oltre il 30% di alunni stranieri nati all’estero si riducono allo 0,7% a livello nazionale». 

Il dibattito sullo ius scholae

Nel 2022 un bando dell’impresa sociale Con i Bambini stanziò 10 milioni di euro per sostenere modelli innovativi per il superamento della “segregazione scolastica”, il fenomeno per cui le famiglie “fuggono” da alcune scuole percepite come “di frontiera” verso scuole percepite come più “attraenti”. Come dire, nessuno nega che la concentrazione eccessiva sia un problema in termini di equità e radicalizzare le diseguaglianze, ma riportiamo i numeri alla giusta dimensione, quella della realtà. Marco Rossi-Doria, presidente di Con i Bambini lo presentò così: «Succede spesso che le famiglie più protette preferiscono iscrivere i propri figli in scuole di altri quartieri, mentre le scuole di prossimità sono frequentate in prevalenza da bambini e ragazzi di famiglie socialmente meno protette o con storie migratorie. Tutto questo provoca un deperimento dei percorsi educativi, che invece potrebbero arricchirsi delle reciproche differenze, grazie alla cura costante nell’assicurare sempre di più solide competenze disciplinari per tutti, sia nell’accoglienza per ciascuno e nella cura della relazione educativa. È così che si evitano le “scuole ghetto” che rendono ancora più aspre le disuguaglianze». La selezione dei progetti si è completata a novembre 2023 (qui gli esiti): sono stati selezionati 23 progetti, con un contributo complessivo di oltre 12,4 milioni di euro, che coinvolgono complessivamente circa 27.400 bambini e ragazzi e 76 istituti scolastici del primo ciclo.

Nel frattempo si riaccendeva il dibattito sullo ius scholae, affossato poi sotto il peso di 1.500 emendamenti presentati. Tutto questo benché nel paese il consenso sullo ius scholae fosse molto trasversale:  a sorpresa il 48% degli elettori della Lega si dichiarava d’accordo, percentuale che scendeva a un 35% di tutto rispetto tra chi si dichiarava elettore di Fratelli d’Italia e saliva al 58% fra gli elettori di Forza Italia.

I dati di oggi

Gli ultimi dati ufficiali pubblicati dal ministero si riferiscono all’as 2021/2022, quando il numero totale di studenti e bambini con cittadinanza non italiana presenti nelle scuole d’Italia era pari a 872.360: sono il 10,6% degli studenti. La quota dei nati in Italia sul totale degli studenti di origine migratoria è arrivata al 67,5%. La maggior parte degli studenti con background migratorio (il 44,06%) è di origine europea.

Le scuole che vedono una presenza di alunni con cittadinanza non italiana superiore al 30% sono salite al 7,2%: il 3,9% delle scuole ha una percentuale di alunni con cittadinanza non italiana fra il 30% e il 40% mentre il 3,3% delle scuole supera il 40%. Le percentuali più elevate, in entrambi i casi, sono nelle scuole dell’infanzia. Stiamo parlando complessivamente di 3.947 scuole su 55.026, di cui 1.100 solo in Lombardia.

GLI ALUNNI CON CITTADINANZA NON ITALIANA A.S. 2021/2022 – grafica dal report del MIM


Parlando di singole classi, i dati cambiano poco. «Con riferimento alla problematica della concentrazione a livello di classe, i dati segnalano un costante leggero aumento delle classi con oltre il 30% di alunni con cittadinanza non italiana: 6,8% del 2021/2022 rispetto al 6,6% del 2020/2021, al 6,1% del 2019/2020, al 5,9% del 2018/2019, al 5,6% del 2017/2018 e al 5,3% del 2016/2017. Va tenuto conto che i dati comprendono gli studenti di origine migratoria nati in Italia. Escludendo questi alunni, le classi con oltre il 30% di alunni con cittadinanza non italiana nati all’estero si riducono allo 0,5%, con un picco in Liguria (1,1%) cui seguono Lombardia (0,9%), Piemonte (0,8%) e Emilia-Romagna (0,7%).

Quindi le scuole che superano il tetto salgono e quelle che non hanno nemmeno un alunno straniero scendono, ma se si tiene conto dei nati in Italia, l’impatto si riduce: dallo 0,7% del 2015/16 allo 0,5% del 2021/22. «In nessun caso, comunque, le scuole possono rifiutare l’iscrizione di un minore in ragione del superamento di una determinata percentuale di iscritti di origine migratoria», si legge nel report.

Un modo per risolvere la questione del tetto c’è: si chiama ius scholae. Tanto quel 67,5% di studenti con cittadinanza non italiana che sono nati in Italia, il problema della lingua che tanto preoccupa Valditara non ce l’hanno: l’italiano lo parlano già benissimo.

Foto di © Stefano Carofei/Sintesi


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