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Cooperazione & Relazioni internazionali

Sudafrica: il testimone passa a Zuma

di Giulio Albanese

L’euforia per i mondiali di calcio in programma nel 2010, primi in assoluto nella storia del continente africano, hanno portato in questi mesi il Sudafrica alla ribalta delle cronache sportive. Senza nulla togliere allo straordinario agonismo della nazione dei “Bafana Bafana”, (“i ragazzi” in lingua zulu), le sfide sul tappeto per quella che fino a pochi anni fa era la patria dell’apartheid sono a trecentosessanta gradi. Il Sudafrica è in effetti la metafora delle contraddizioni che caratterizzano quei paesi del Sud del mondo i quali, quanto a risorse naturali e potenzialità umane, potrebbero raggiungere livelli di benessere pari se non addirittura superiori agli standard occidentali. Stiamo parlando di una realtà territoriale che occupa l’estremo lembo meridionale del continente africano, con una superficie di oltre un milione e duecentomila chilometri quadrati, emblema del riscatto di popoli e culture ancestrali che hanno sperimentato – ahimé, in tempi non lontani – ogni genere di angherie e malversazioni in nome dell’odio razzista. Ebbene, il Sudafrica potrebbe davvero essere un autentico “paradiso terrestre” – in effetti questo indicano le guide turistiche – se non fosse ancora ostaggio del suo passato coloniale. In sostanza, il tanto agognato “rinascimento africano” che doveva caratterizzare la svolta del “dopo apartheid” non ha ancora generato quei risultati promessi sia dal “Padre della Patria”, Nelson Mandela, che dal suo successore, l’ex presidente, Thabo Mbeki. A questo proposito, le recenti elezioni svoltesi mercoledì scorso hanno rappresentato un appuntamento rilevante nella duplice prospettiva nazionale e continentale. Era naturalmente data per scontata la vittoria dell’African National Congress (Anc), il partito di maggioranza che nell’ultimo scrutinio del 2004 aveva ottenuto il 69,69% dei suffragi, mente le sue due principali formazioni rivali – The Democratic Alliance e l’Inkatha Freedom Party – erano riuscite a rastrellare rispettivamente il 12,37%e il 6,97% dei voti. La novità però questa volta sta nel fatto che l’Ancha fallito l’obiettivo di ottenere i due terzi dei voti che gli avrebbero consentito di emendare la Costituzione. Secondo i risultati finali, il partito guidato dal popolarissimo ma anche controverso Jacob Zuma ha raggiunto solo il 65,9% dei voti. Un margine enorme nei confronti degli oppositori ma che comunque consente d’innescare quella dialettica parlamentare necessaria in democrazia. Ora naturalmente non resta che attendere alla prova il vincitore delle elezioni, quel signor Zuma di cui sopra, un personaggio che preoccupa non poco gli analisti di politica internazionale. Da poco infatti sono caduti i sedici capi d’accusa mossi nei suoi confronti per corruzione, frode, racket e riciclaggio di denaro. Un iter processuale durato otto lunghi anni che non sono riusciti comunque ad offuscare la sua popolarità, essendo anche uscito indenne da un procedimento legale per stupro. Da rilevare che sul versante dell’opposizione è cresciuto il partito della Democratic Alliance erede dei bianchi liberal che ha conseguito questa volta il 16,66% dei suffragi, mente il Congress of the People (Cope), nato nel dicembre scorso in seguito ad uno scisma all’interno dell’Anc, ha conseguito soltanto il 7,42% dei voti. Guidato da Mosiuoa Lekota, presidente dell’Anc dal 1997 al 2007 ed ex ministro della difesa, il Cope non ha convinto gli elettori proponendo tra i suoi candidati parte della vecchia nomenclatura dell’Anc, quella che nella scorsa legislatura non aveva convinto più di tanto. Nel frattempo la crisi economica si abbatte anche in Sudafrica dove il Pil calerà dell’1,2% nel 2009, ai minimi da 10 anni. Il ministro delle finanze Andrew Manuel Trevor (già confermato nel suo incarico da Zuma) ha spiegato che l’export sta rallentando e così pure gli investimenti. Una simile contrazione dell’economia non si verificava dal 1998. La posta in gioco è altase si considera che il Sudafrica è stato l’unico Paese del continente invitato al recente G20 di Londra. Inoltre, rimane la vera potenza di riferimento, a livello politico-diplomatico, una responsabilità a cui la nuova presidenza non potrà rinunciare facilmente, essendo in gioco il destino del continente africano. Una cosa è certa: la questione del Welfare rappresenta la “vexata et tormentata quaestio” del Sudafrica. La vera scommessa consisterà innanzitutto e soprattutto nel ridurre la forbice tra i ceti ricchi e quelli meno abbienti che comunque rappresentano ancora la stragrande maggioranza della popolazione. Va infatti ricordato che a tutt’oggi la distribuzione del reddito in Sudafrica è considerata in assoluto tra le più inique del mondo. L’ex presidente Mbeki si era impegnato nel corso dei suoi due mandati a combattere la corruzione, ma la delicata congiuntura internazionale, unitamente alle difficoltà di gestione della pubblica amministrazione hanno reso sempre difficili e angusti gli spazi di manovra.Certamente va affidato alla storia il giudiziosugli esiti della “Commissione per la Verità e la Riconciliazione” voluta da Mandela e presieduta dal vescovo anglicano e premio Nobel per la Pace, Desmond Tutu. La consapevolezza è che i cinque volumi di rapporto costati due anni e mezzo d’indagini, oltre a ventimila testimonianze e centinaia e centinaia di audizioni siano serviti quantomeno, sul piano umano, ad innescare un processo di cicatrizzazione perché le ferite causate dall’odio razziale possano lentamente rimarginarsi. A questo proposito un compito decisamente importante ricade sulle Chiese Cristiane che, ripudiandol’identificazione con l’autorità dello Stato – come invece in passato aveva fatto la Chiesa Olandese Riformata offrendo il sostegno ideologico al regime razzista – si stanno impegnando nel risanamento del tessuto sociale dilaniato dal sistema dell’apartheid. Si tratta in sostanza di esercitare una “solidarietà critica” – termine tecnico adottato dal Consiglio Ecumenico delle Chiese del Sudafrica (Sacc) -di pieno appoggio alle iniziative politiche non in contrasto con i fondamentali valori umani e cristiani. Non v’è dubbio che la testimonianza cristiana, coerentemente vissuta, rappresenti il miglior antidoto contro il pessimismo e ogni forma d’intolleranza in un Paese che ha decisamente fame e sete di giustizia e pace.


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