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Cooperazione & Relazioni internazionali

Nigeria, un inferno di dolore

di Giulio Albanese

Le aberranti violenze perpetrate in queste settimane natalizie dal movimento nigeriano Boko Haram sono atti a dir poco disumani, ingiustificabili, perpetrati contro Dio e contro gli uomini. E ogni giorno che passa il numero delle vittime cresce a dismisura. Ma cerchiamo di capire meglio chi siano realmente questi estremisti nigeriani che seminano morte e distruzione con così tanta disinvoltura. L’espressione “Boko Haram” nella cultura hausa (Nord della Nigeria), esprime la negatività (così almeno viene percepita da questi fanatici) del sistema educativo degli ex colonizzatori britannici. In effetti, letteralmente, “Boko” vuol dire “falso” mentre “Haram” in arabo significa “peccato”. Il progetto politico di questi terroristi è comune ad altre formazioni estremiste presenti nel mondo islamico. In Nigeria essi vorrebbero imporre sharia (la legge islamica) a tutta la Repubblica Federale che finora ha goduto di una costituzione garante della laicità delle istituzioni politiche. Stando ad indiscrezioni della società civile, oltre a possibili complicità dei poteri politici locali e a connivenze dell’alta finanza locale affamata di petrodollari, i veri mandanti sarebbero esponenti del salafismo saudita, lo stesso movimento ideologico che ha foraggiato alacremente Al Qaeda in giro per il mondo. Informazioni raccolte dall’intelligence nigeriana parlano addirittura di collegamenti tra Boko Haram e la cellula magrebina di Al Qaeda. Da questo punto di vista la prima considerazione che sovviene riguarda il rischio di una deriva della cosiddetta “primavera araba”, che ha interessato nel 2011 i Paesi del nordafricana. Con l’avvento al potere dei fondamentalisti in Paesi come l’Egitto, questo “segno dei tempi” rischia di sfumare, consentendo ai fautori del Jihadismo di contaminare la fascia Sub-Sahariana. Col risultato che Paesi come la Nigeria, finora tolleranti sul piano religioso e sociale, verrebbero consegnati ai fautori dell’integralismo islamico. L’Occidente, pertanto, deve trovare il coraggio di affrontare seriamente la questione, attraverso una lettura critica della globalizzazione che, soprattutto in Africa, nonostante gli investimenti stranieri, ha acuito paradossalmente la miseria delle popolazioni autoctone. La posta in gioco è alta se si considera che l’estremismo della Mezzaluna rischia di diffondersi a macchia d’olio, dalla Somalia alla Nigeria. Servono pertanto nuove forme di “governance” che tengano conto della persona umana (come peraltro indicato dal Magistero Sociale della Chiesa) e non solo dei ricavi derivanti dallo sfruttamento del bacino petrolifero. Proventi che quasi mai hanno generato uno sviluppo sostenibile dei ceti meno abbienti, considerando che a tutt’oggi l’1% della popolazione in Nigeria detiene il 75% della ricchezza nazionale. Fin quando i proventi dell’oro nero finiranno nelle tasche di un manipolo di nababbi, con la complicità delle imprese straniere – poco importa se americane, europee o cinesi – le masse impoverite rappresenteranno il terreno fertile per ogni genere di estremismo.


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