Congo: Goma cade nelle mani dei ribelli
21 Novembre Nov 2012 0039 20 novembre 2012I ribelli congolesi del movimento “M 23” hanno annunciato di aver preso il controllo della città di Goma, nel settore orientale della Repubblica Democratica del Congo. I miliziani dell’M23, sono un gruppo formatosi quest’anno con l’appoggio del governo di Kigali. Il piano è quello elaborato anni fa dal presidente ruandese Paul Kagame: l’annessione dei territori congolesi al confine col Paese delle Mille Colline, una delle zone dell’Africa Subsahariana più ricca di minerali e fonti energetiche. Secondo le Nazioni Unite, i ribelli hanno rapito donne e bambini e ferito diversi civili, ma i caschi blu controllerebbero ancora la zona dell’aeroporto di Goma. Intanto il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, ha nuovamente condannato le “gravi”violazioni dei diritti umani perpetrati dai ribelli dell’M 23, chiedendo nuove sanzioni nei confronti del gruppo armato filo-ruandese. È bene rammentare che il regime di Kigali gode del sostegno di alcuni Paesi occidentali, soprattutto anglosassoni, che hanno forti interessi nello sfruttamento a basso prezzo delle ricchezze del sottosuolo congolese. Ciò che personalmente trovo aberrante è la latitanza della comunità internazionale che finora ha assunto un atteggiamento estremamente ambiguo nei confronti di Kagame, un personaggio "pericoloso" per l'intera Regione dei Grandi Laghi. Emblematica, a questo riguardo, è la pubblicazione del rapporto “Mapping human rights violations 1993-2003”, stilato dall’Alto commissariato Onu per i diritti umani e frutto di una lunga inchiesta avviata dopo il ritrovamento di tre fosse comuni nel Nord Kivu, alla fine del 2005. Il documento parla di “attacchi sistematici” delle forze ruandesi contro i rifugiati hutu, “così come pure contro i civili congolesi”, che potrebbero essere qualificati come “genocidio”, “se comprovati davanti ad un tribunale competente”. A questo proposito va ricordato che non è un caso se il Consiglio di Sicurezza dell’Onu non rinnovò nel 2003 l’incarico a Carla Del Ponte, che guidava la procura del Tribunale penale per i crimini in Rwanda. L’ipotesi di aprire inchieste anche sul Fronte patriottico ruandese (Fpr) di Kagame – preannunciata dal magistrato elvetico – suscitò infatti le ire del regime di Kigali, che riuscì abilmente a fare pesare le sue influenti amicizie a Washington e dintorni. In definitiva, se da una parte è vero che a morire in Rwanda, dall’aprile del 1994, furono prima centinaia di migliaia di tutsi, l’etnia minoritaria vessata impunemente dalle milizie Interahamwe, oltre a un numero non indifferente di hutu moderati, il gruppo etnico demograficamente maggioritario e fino ad allora dominante; dall’altra, è innegabile che si arrivò poi alla vendetta dei vincitori, i quali passarono all’arma bianca non solo i loro acerrimi nemici, ma anche tantissimi profughi hutu, perpetrando una vera pulizia etnica, soprattutto nelle foreste dell’ex Zaire. Kagame è dunque un soggetto pericoloso e va fermato prima che sia troppo tardi.