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Cooperazione & Relazioni internazionali

Congo: M23 quo vadis?

di Giulio Albanese

La conquista della città di Goma (Nord Kivu), da parte del movimento M23, è un pericoloso segnale del degrado socio politico in cui versa la Repubblica Democratica del Congo. Un fenomeno estremamente complesso che, come avvenuto già in passato, potrebbe determinare l’implosione dello Stato di diritto. Gli attori in campo sono in buona parte congolesi anche se vi è un’indubbia presenza militare ruandese, a cui si associano, lungo la linea di confine, addirittura reparti ugandesi. Attualmente si confrontano sul campo, con ruoli e alleanze non sempre intelligibili, l’esercito regolare della Repubblica Democratica del Congo (Fardc), i ribelli Mayi-Mayi, gli esuli ruandesi di etnia hutu (Fdlr), e l’agguerrito M23, di matrice filo-ruandese, fuoriuscito ad aprile dall’esercito regolare congolese. Questa formazione armata è composta in gran parte da mercenari ruandesi, ma anche da ufficiali dell’esercito di Kigali che rispondono agli ordini del presidente ruandese Paul Kagame. Ciò che alimenta le ostilità, determinando uno stato di barbarie, non è altro che la ricchezza del sottosuolo: dal coltan (lega naturale di columbio e tantalio) all’oro, per non parlare delle fonti energetiche, petrolio in primis. A sparigliare le carte è comunque stata la decisione da parte del presidente congolese Joseph Kabila (molto impopolare a Goma e in altre parti del Paese per imbrogli d’ogni genere nel corso delle elezioni che lo hanno riconfermato alla massima carica dello Stato) di siglare alcuni importanti contratti con imprese cinesi; un vero e proprio sbilanciamento del governo di Kinshasa in favore dell’Impero del Drago che non è affatto gradito sia agli Stati Uniti come anche ad alcuni governi europei (Francia, Belgio e Regno Unito). In questo senso il Rwanda sente di avere le spalle coperte, potendo peraltro vantare un alibi che gli consente di fare il bello e il cattivo tempo: la presenza nel territorio congolese dell’Fdlr, cioè dei cosiddetti “genocidari” hutu fuggiti dal Rwanda a seguito della conquista di Kigali da parte del Fronte Patriottico Ruandese (Fpr) nel 1994. Sebbene, questa formazione sia ostinatamente anti-Kagame, il suo insediamento nel Kivu costituisce il pretesto per le forze armate ruandesi di vantare, non solo un diritto di prelazione sulle materie prime congolesi, ma addirittura di realizzare un’occupazione che, in prospettiva, dovrebbe portare all’annessione politica del Congo Orientale al piccolo, ma sempre più bellicoso Rwanda. È ovvio che in questo contesto la diplomazia congolese non può che appellarsi alle Nazioni Unite e all’Unione Africana che hanno la responsabilità di garantire l’integrità dell’ex Zaire, rispetto alle mire espansionistiche di Kigali. Purtroppo la presenza della Monusco (Mission de l’Organisation des Nations Unies en République démocratique du Congo) – un dispiegamento di 18mila caschi blu nel Kivu – non è riuscita a garantire la sicurezza a Goma e dintorni. Essa infatti interpreta il suo mandato di proteggere i civili congolesi in modo tale da evitare ogni confronto armato con i ribelli. Spetta ora all’Unione Africana l’arduo compito di dirimere la matassa degli intrighi, prima che scoppi l’ennesima guerra congolese.


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