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Cooperazione & Relazioni internazionali

Mali: la guerra di Parigi al terrorismo

di Giulio Albanese

E così la Francia è entrata in guerra, per l’ennesima volta, in terra africana, intervenendo ieri, militarmente, nel Mali. Che Parigi volesse risolvere direttamente la questione dell’Azawad, era già nell’aria, ma la decisione francese ha sorpreso molte cancellerie. In effetti, sia dal Palazzo di Vetro a New York, così come da Bruxelles, pur prendendo atto che l’offensiva delle formazioni jihadiste era preoccupante, c’era sempre stato (almeno fino a ieri) l’implicito invito a proseguire lungo la strada della trattativa. Sta di fatto che la Francia è entrata in azione con raid aerei a supporto delle forze governative contro i fondamentalisti islamici affiliati ad al Qaida che dallo scorso anno occupano il nord del Mali. Nel frattempo, il governo di Bamako ha proclamato lo stato di emergenza, le truppe governative hanno rioccupato molti settori strategici e il presidente a interim, Diacounda Traoré, ieri sera, ha promesso che i ribelli riceveranno una risposta militare “sferzante e massiccia”. Londra e Berlino hanno approvato l’intervento francese mentre, dal canto loro, i Paesi della Comunità Economica dell’Africa occidentale (Cedeao/Ecowas) hanno autorizzato, una volta per tutte, l’invio immediato di truppe. L’Unione europea (Ue) prendendo atto dei nuovi sviluppi, ha accelerato le procedure  per l’invio di una missione di addestramento. L’inattesa piega militare della giornata di ieri potrebbe, comunque, avere imposto al conflitto in Mali una svolta, anche se il rischio è che la crisi maliana non si risolva velocemente, col risultato che i gruppi jihadisti, fuggendo, possano destabilizzare i Paesi limitrofi. Una cosa è certa: la Francia è ancora protagonista (come accaduto in Costa d’Avorio e in Libia) della scena africana, perseguendo logiche che comunque, alla prova dei fatti, servono a tutelare i propri interessi. Qui non è in gioco solo la lotta al terrorismo jihadista, ma il mantenimento dei privilegi francesi in territori ricchi di petrolio, uranio e quant’altro.


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