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Media, Arte, Cultura

Tutto il rap che non puoi perderti

di Lorenzo Maria Alvaro

https://www.youtube.com/watch?v=K3-yFfM38CE

Il Rap oggi è ovunque. Per chi, come me, è cresciuto negli anni 90 sembra una rivoluzione. Una volta si poteva contare su pochi artisti, come canta Ensi nella sua “Era tutto un sogno” (proposta in apertura), «la chiamavamo scena, così pochi che avrei anche potuto invitarli a cena». Oggi con la rete e con quasta nuova ondata di entusiasmo sembra esserci un rapper per condominio in Italia. Una novità indubbiamente positiva ma che dà vita ad un problema irrisolvibile. Chi è veramente fedele a quella cultura, l’hip hop, cui in tanti siamo stati e siamo ancora innamorati? Per provare a rispondere ho chiesto ad un caro amico di farmi una sorta di cartina italiana del rap. Mettendo le relatà che a suo avviso sono meritorie di nota e ascolto. Naturalmente è un censimento di parte, e sarà incompleto o discutibile. Ma questo è il bello in fondo. Giacomo Doninelli, che il rap lo vive da spettatore privilegiato, in strada, ci ha regalato questo breve vademecum.

di Giacomo Doninelli

Fino a pochi anni fa, un rapper non poteva pensare di uscire dal circuito underground, senza rinunciare a fare rap (come Neffa, precursore del genere e poi grande “convertito”; ma parliamo di parecchi anni fa…).  Oggi artisti come Fabri Fibra, Marracash o i Club Dogo, vendono dischi alla Fnac, fanno soldi, vanno in televisione. Senza rinunciare a nulla? Non proprio; qui infatti si apre una grande frattura che sta dividendo in due pubblico, critica e artisti: frattura che può essere grossolanamente spiegata come uno iato che separa i nostalgici dagli innovatori.

La questione, in realtà, è tutt’altro che cronologica: gli appassionati del genere ben conoscono quella meravigliosa cultura che è l’hip hop, cultura senza confini o colori, da cui viene la musica rap. Questo è il punto: il rap oggi, quanto è figlio (o deve essere figlio) dell’Hip Hop Culture? Non esiste una risposta che vada bene per tutti, a quanto pare.

Nel 2006 usciva un disco di Nas (un rapper newyorkese della prima ora) intitolato “Hip Hop is dead”: sottolineava così un problema che nella scena italiana è ora attualissimo. Dalla confusione di accuse reciproche che amanti e praticanti del genere si lanciano (gli uni vengono accusati di essere retrogradi, gli altri di sputare sul passato), possiamo estrarre alcune certezze: se ascoltiamo i rapper “di successo” ci accorgiamo che effettivamente il vecchio Nasir Jones c’aveva preso, l’hip hop è morto; non c’è nulla, nella musica dei Club Dogo, che rimandi a quella cultura hip hop, fatta di solidarietà, di allegria, di pietà, di povertà. Grazie al cielo, però, quella rete sotterranea e ingegnosa che per vent’anni ha nutrito e sostenuto il rap italiano (fatta di centri sociali, piccole case indipendenti, negozietti e amicizie vere) ha risposto con gelosa potenza, proponendo la stessa ricetta (l’originale è sempre la migliore) con la debita aggiunta di sale.

È doveroso citare alcuni rapper della vecchia guardia, che da un quarto di secolo restano fedeli e innamorati della cultura hip hop. E farne altri di rapper che sono sulla scena da meno tempo, ma servono con umile dedizione le orme dei padri.

Da Torino viene un monumento della scena hip hop italiana, come NextOne, produttore, dj, ma soprattutto b-boy (breaker boy, che balla la break dance). Per capirci, il ragazzo è, dagli anni ’80, membro della RockSteady Crew, Real Madrid della break dance, e della Zulu Nation, il più grande e importante movimento di promozione internazionale dell’hip hop. Left Side, Dj Double S, Maury B sono alcuni dei suoi compagni di viaggio che, ancora oggi si spendono per fare musica di qualità.

Muovendoci verso Milano incontriamo figure come FatFat Corfunk (e il suo socio KBC), a mio giudizio (per quanto riguarda i testi delle canzoni) la sintesi migliore della cultura hip hop in Italia.

E-Green da Varese, uno dei più forti del momento attuale, sicuramente il più polemico.

Il capoluogo meneghino vanta altri personaggi di prim’ordine, innanzitutto Bassi Maestro, autentico testimone della passione per il mondo hip hop, che ha sostenuto per anni l’industria del rap, quando questa è stata in difficoltà. Io seguo sempre con passione un altro rapper milanese che sfondò diciassettenne e ora, dopo una decina di anni, resiste autoproducendosi e producendo altri artisti, Mondo Marcio. Consiglio anche l’ascolto di Oscar White, fondatore dell’ODK crew: molto crudo, ma molto consapevole.

Altro polo di prestigio è Bologna, che vanta le prime esperienze di rap italiano con realtà come l’Isola Posse, da cui vengono Neffa, Deda, Dj Gruff.

La stessa città ha visto un grandissimo astro della musica rap Joe Cassano, prematuramente scomparso dopo un album.

Il suo sodale storico), Inoki, oggi è uno dei portabandiera della riscossa hip hop. Sempre proveniente da “Bolo” è Kaos, che spicca per la forza e la pssione con cui scrive e canta, e che è uno degli artisti più apprezzati d’Italia, da un punto di vista qualitatvo. L’ultimo prodotto potente di questa città sono i Fuoco Negli Occhi, collettivo italo-francese dall’alto spessore tecnico, ma sempre fedele al messaggio originale.

Roma, la capitale, ha lanciato pionieri del genere come gli Assalti Frontali, particolarmente attivi dal punto di vista politico (tema piuttosto caro all’hip hop romano), e poi i Corveleno, Piotta (che anche i lettori meno preparati ricorderanno), i Colle der Fomento. Altri rapper romani da cui traspare l’originalità della cultura hip hop sono Amir, Tony Sky, Santo Trafficante e Gente de Borgata; di più facile ascolto è il giovane artista Rancore, che si è fatto inizialmente conoscere per le sue abilità nel freestyle, poi per le sue canzoni belle e originali.

Un altro centro importante, intorno al quale si sono condensate esperienze musicali di spessore, è Napoli. Qui infatti nascono esperienze importanti come quelle de La Famiglia, dei 13 Bastardi, e quella più recente dei Co’Sang (che ottennero molto successo con “Chi more pe’mme”, uno degli album più crudi e belli del rap italiano).

Oggi la città è rappresentata da Clementino. Campano, ma salernitano è un altro giovane rapper da tenere d’occhio, Rocco Hunt.

In Sicilia le realtà più importanti sono i “Tasters” (Stokka & MadBuddy, celebri anche come writers) i Killa Soul, gruppo che comprende Johnny Marsiglia, Louis Dee, e il produttore Big Joe; questi i più noti e più vicini all’originalità della cultura hip hop.

Concludiamo con un calabrese di nascita: Esa. Meglio noto come El Presidente negli anni ha girato tutta Italia fondando sodalizi storici (OTR prima, Gente Guasta poi), e che la gira tutt’ora promuovendo la sua cultura nel migliore dei modi: sponsorizza giovani rapper, va a parlare nelle scuole, incontra i ragazzi. Suo fratello Tormento (che fece parte del duo “Sottotono”, vedi Sanremo 2001) incarna la stessa passione per i valore dell’hip hop.


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