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Io?Drama, Vergani Marelli e Lao Tzu

di Lorenzo Maria Alvaro

Era da tanto che volevo fare questo post. Lanciare cioè finalmente un nuovo lavoro degli Io?Drama, un gruppo che amo particolarmente.  Da venerdì scorso è infatti scaricabile su iTunes “Vergani Marelli 1” il primo singolo del nuovo album. Per questo ho deciso di andare a casa di Fabrizio Pollio, frontman della band, per capire di cosa si tratta, qual’è il progetto e quando potremo avere in mano il nuovo lavoro. Essendo prima di tutto un amico però non ci siamo limitati a fare la solita intervista. Un po’ per caso è nato anche un piccolo video che abbiamo deciso di proporvi sperando vi piaccia.

Prima di iniziare devo fare una premessa. Fabri mi ha accolto avvolto in una tunica rossa, leggendomi passi di Lao Tzu, filosofo cinese  del VI secolo a.C.

Perché mi devi leggere Lao Tzu? Fidati che per uno che fa musica è molto d’aiuto. È un ambito che porta molto facilmente alla lamentela. Del tipo: la gente non mi capisce, gli altri fanno successo e io no, il mercato premia chi non se lo merita. Tutte cose spesso vere. Ma non è questo che ti deve interessare. Bisogna uscire da questa logica.

Però in alcuni casi si può parlare di vere e proprie ingiustizie. Lao Tzu Pollio cosa dice a riguardo? (Legge ndr) «In un conflitto è meglio difendersi che aggredire. È meglio ritirarsi di un piede che avanzare di un pollice. Questo significa procedere senza avanzare, catturare il nemico senza attaccarlo. Non c’è maggiore disgrazia che sottovalutare l’avversario. Quando si scontrano due avversari vince solo quello che combatte a malincuore».

Veniva da ridere anche a te…   No dai, è stupendo!

Va bene, adesso però possiamo tornare a intervistare Fabrizio Pollio e chiudere la parentesi col Maestro Miyagi? D’accordo

È uscita “Vergani Marelli 1”. Non ti chiedo perché vi chiamate Io?Drama perché so che non risponderesti. Ma sul titolo della canzone una spiegazione la devi dare… Certo. È l’indirizzo del mio primo domicilio a Milano. Vivevo col mio grandissimo amico Erri. Vivevamo in due in un  bilocale che avevamo diviso col cartongesso in modo che in sala potessi avere una piccola stanza mia.

“Vergani Marelli 1” live ai Magazzini Generali di Milano
E ad ascoltare la canzone si evince che non avevi una porta? Esatto, una volta ricavata la stanza ho dovuto accontentarmi di una tenda perché per la porta a soffietto non avevo i soldi. Più avanti l’ho comprata e montata e ho rimpianto la tenda.  Perché quando paghi qualcosa 20 euro non funziona mai

Ma di che parla la canzone? Di quello che sentivo in quel periodo. La casa era zona Bande Nere, e si pagava un sacco di soldi per stare vicino alla metro. Si tratta di una zona ebraica di Milano. C’è una prevalenza di ebrei ortodossi per strada. E non sono persone fastidiose o invadenti però erano assolutamente distaccate. Tu per due anni li salutavi e tutte le volte ti guardavano come fosse la prima volta.

Descrivi diversi personaggi particolari. Chi erano? Si, nel palazzo c’era una grande concentrazione di pazzi. A fianco a noi c’erano un madre e una figlia che urlavano tutto il giorno. La figlia aveva qualche problema. Erano insulti h24. Al piano di sopra invece c’era un ragazzo di 40 anni che aveva deciso di studiare violino….

Quindi non era Vito (Vito Gatto, violinista degli Io?Drama ndr)? No, lo pensano in molti. Invece non c’entra nulla. Sta di fatto che suonava ogni giorno che mandava Dio i suoi esercizi. Non mi dava fastidio, a parte quando registravo e sentivo sotto i suoi tentativi. La cosa però più divertente era sua madre. Donna molto gentile e affabile. Ci salutava sempre molto calorosamente. Ci diceva sempre che anche il figlio era musicista. Solo che era sempre evidentemente fatta di psicofarmaci.  Poi c’era l’ebreo che non salutava mai o al massimo con molta freddezza.

Nella canzone però non dici che è ebreo, perché? Perché so che ci sarebbe stata subito qualche strumentalizzazione a caso. Roba che se avessi cantato che c’era un protestante che non ride mai non sarebbe interessato nessuno. Ho deciso di non sottolinearlo anche perché non credo che salutare in modo formale e non sorridere mai sia una prerogativa degli ebrei.

C’era anche il portinaio che fischietta… Si, Lello, lui era quello dalla nostra. Gli stavamo molto simpatici. Un super napoletano che impazziva per il fatti che “ci portavamo u negroni”. In effetti quando avevamo le prove ci portavamo i negroni dal bar.

E scommetto che nonostante tutto è un periodo che rimpiangi? Si, vivevamo di stenti, tra scatole di ceci e negroni d’asporto. Vivevamo la vita sbattuta in faccia. Con tanta passione, amore e arte. È la casa dove ho vissuto la mia prima grande relazione. Tutto questo ha fatto di quel posto una fonte importante di ispirazione.

Nel ritornello canti “che indifferenza fa una vita in più”. Che vuol dire? Tieni presente che io vengo da Settimo Milanese, un paese di provincia, dove un ciao per strada è una cosa normale. Un po’ come nei paesi del sud. Chi è della provincia sa cosa vuol dire. Io arrivai nella Milano di Bande Nere dove la gente alle sette di sera tornava a casa da lavoro, posteggiava l’auto, e tenendosi il cappotto con la mano correva a chiudersi in casa per non uscire più. In effetti li chiamavo “quelli che si tengono il cappotto”.

La cosa divertente è che stiamo parlando solo del singolo perché il disco non si sa quando esca… Esatto. Pensiamo che si intitolerà “Non resta che perdersi” anche se potrebbe cambiare.

Ma perché non esce? Per una nostra volontà, in accordo con il produttore. Questo perché negli ultimi anni ci siamo trovati in situazioni contrattuali particolari.

Perché tu vivi di musica oggi? Si certo. Almeno ci provo. Prima, ai tempi di Vergani Marelli, lavoravo al mercato o in altre piccole cose. Oggi invece provo a vivere di questo. Certo se mi si rompe la frizione e devo pagare 500 euro magari un lavoretto lo cerco (ride ndr)

Torniamo ai contratti. Qual’è il problema? Che spesso ci fanno offerte sovradimensionate. Proposte di contratti da 4/5 anni. Non sono proposte credibile perché nessuno ha i soldi per mantenere le promesse contrattuali e tu non hai la forza economica per far rispettare quello che hai firmato. Non sono cose concrete. Così abbiamo deciso di puntare sulle canzoni poco alla volta. Come si faceva una volta. Negli anni 70 uscivano i vinili con lato e lato b. Due canzoni. Basta. Una tecnica insomma più calma e meno affidata alla voglia di fare il disco. Diciamo la verità: fare un disco è una figata. Lo dico soprattutto alle band che stanno leggendo: fare un disco è certamente importante e senza è difficile far capire il tuo percorso e la tua idea di musica. Ma è altrettanto importante che sia tutto al massimo. Un album fatto di fretta spesso lascia rimpianti.

Quindi non possiamo dare un termine temporale? Uscirà certamente nel 2014. Anche se le canzoni del disco cominceremo a suonarle dal vivo prima dell’uscita. È un modo per tornare alla freschezza degli inizi. In cui le canzoni maturavano nei live perché non avevamo i soldi per produrre dischi.

Tu lo sai perché te l’ho raccontato tante volte. La prima volta che vi ho sentito, nel 2006 al Transilvania Live in apertura ai Baustelle, vi ho odiato. In particolare trovavo molto fastidioso il tuo modo di cantare. Vi ho risentito nel 2009 al Carroponte in apertura dei Perturbazione e mi sono innamorato. È cambiato sia il tuo modo di cantare che il vostro suono. Cos’è successo? Assolutamente. Mah credo che in fondo sia solo che siamo cresciuti. Nel 2006 eravamo fuori con “Nient’altro che madrigali” che era un lavoro che abbiamo fatto tra i 18 e i 22 anni. Nel 2009 invece il disco era “Da consumarsi entro la fine” che era un lavoro già più maturo. Il mio modo di cantare, come anche il suono degli Io?Drama, è ancora in divenire. Anche il nuovo disco sarà molto differente da prima. Si tratta più che altro di percorsi personali. Sempre più, col tempo, mi piace uno stile scarno. All’inizio amavo cose più prog. Se senti il nuovo disco si capisce che vado per i 30, che ho suonato tanto e che ho molti problemi concreti e quotidiani. Prima c’era molta evanescenza. Man mano mi sto consacrando alla sincerità

“Il testamento di un pagliaccio” da “Nient'altro che Madrigali” del 2006
In questo c’è un po’ lo zampino della tua frequentazione di De André con i Becchini (il duo fatto da Pollio e Matteo Manzo che porta in giro le canzoni del cantautore genovese ndr)? Faber per me è stato uno shock. Non l’ho conosciuto, come spesso capita, per retaggio familiare. L’ho incontrato ad un certo punto, intorno ai 20anni, per caso. E sono rimasto folgorato. Ha colpito la mia sensibilità. Quello che mi ha rapito è il suo saper raccontare storie che altrimenti gli altri avrebbero ignorato. E questo senza diventare “moralizzatore”. Farsi delle domande sulla vita è normale, anzi doveroso. Ma quando ci diamo risposte è un attimo scivolare su una posizione morale. De André insegna a non dire quale sia la cosa giusta o sbagliata. Basta raccontare. Una storia raccontata così dice già la sua verità e non c’è bisogno di interpretazioni. L’interpretazione è pedagogia e didascalia e a me fa cagare.

La Canzone del Maggio cantata in occasione dello spettacolo "Una Goccia di Splendore" registrato nel 2011 alle Scimmie, Milano
Basta che non ti arrabbi con me… Ok, ok (ride ndr)

Il tema del farsi domande è centrale. Lo dicevamo prima con Lao Tzu. Si certo, possiamo fare un passo indietro. Ma, difronte ad un mondo in cui vale tutto e il contrario di tutto, il non farsi domande o farsi esclusivamente quelle canoniche sta diventando un problema. Che facciamo? Non farsi domande è visto ultimamente come un modo figo per affrontare la vita. Uno che non si fa domande è uno che sa stare al mondo. A me invece piace farmi domande e mi annoierei se non lo facessi. Il punto è farsi la domanda giusta. È in sostanza essersi in qualche modo dati già la risposta. Non è una questione filosofica. Non sto parlando di domande tipo: perché la vita? Questo a me non interessa. “Homo sum, humani nihil a me alienum putto” (frase di Publio Terenzio Afro del 165 a.C. che significa «Nulla che sia umano mi è estraneo»). Sono di questa scuola qui. Sono un uomo e parlo della mia piccola specie. Talvolta per parlarne mi devo fingere albero, o lince oppure morto. Ma ad ogni modo sempre di esseri umani come me sto parlando.

Un altro cliché è quello de “la vita è un merda” nelle sue mille accezioni… Mah secondo me la vita non è una merda. Però non mi da fastidio se qualcuno lo dice. Non sono della scuola dei Modugno o dei Negramaro che ti dicono “guarda quante cose belle che hai intorno a te”. Nel senso che per me è vero, e anche bello. Io queste cose belle le vedo. Ma capisco se uno non le vede.

Nella canzone Modugno racconta di un angelo/passante che parla con un suicida. Tu che diresti ad uno che si sta buttando da un ponte? Bè non queste cose qua. Prima di tutto direi: se hai un’eredità parliamone! (ride ndr). Diciamo che il “la vita è una merda” di Modugno è sincero quanto le cose belle che dice dopo. Anzi dà forza alle cose belle per cui vale la pena vivere. Il problema forse è che spesso oggi quel “la vita è un merda” è detto in maniera poco sincera.

Forse è anche per questo che gli Io?Drama non sono molto riconosciuti dal mercato? Tu nei tuoi testi non ti limiti a parlare della speranza ma diciamo che “osi” la speranza. Può essere un problema oggi? No, se vuoi osare oggi puoi farlo. Con i mezzi che hai a disposizione. C’è sempre spazio per osare e per le persone che capiscono il fatto che stai osando. Poi certo il conformismo è più semplice. Il mercato discografica esiste da sempre.

“L'amore ai tempi del precario” dall'ep “Mortepolitana” 
Te lo poni il problema del successo? No, mai come domanda. Al massimo potrei pormelo come obbiettivo

Cambio la domanda: te lo poni come obbiettivo? Prima si, devo ammetterlo. Ora meno. Saranno gli anni che passano. Sarà che così sto bene, giro l’Italia e ho il mio pubblico. Non è tra le mie priorità. Lao Tzu diceva…

No basta, Lao Tzu basta. Devo dirti che mi piace molto parlare con te. Forse perché non ti prendi troppo sul serio e rivendichi una sorta di diritto alla banalità… Ti ringrazio. Anche se mi hai appena dato dell’ignorante…

No non in quel senso. Ma nel senso che non accetti interpretazioni intellettualoidi dei testi… Si è vero. Posso scrivere in un testo, parlando dei morti, “i dimentichi di sé”. Questo perchè amo Seneca. Se qualcuno non conosce il riferimento amen. L’importante è che tutti capiscano la canzone. Forse questo succede perché senza accorgermene non ritengo mie le canzoni che scrivo. Certo il brano è mio. Ma una volta che ho deciso di condividerlo è anche vostro. E ognuno deve poterlo interpretare un po’ come vuole.

Non resta che dirci dove ci vediamo prossimamente… Il 13 dicembre a Torino. Sulla mia pagina Facebook e su quella degli Io?Drama trovi tutte le info

 


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