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Io sono Balotelli

di Lorenzo Maria Alvaro

Sin dal primo secondo, dai primi istanti successivi alle sciagurate dichiarazioni di Cesare Prandelli, Gianluigi Buffon e Daniele De Rossi ho difeso a spada tratta Balotelli. Vorrei provare a spiegare il perchè. Chiarendo sin da subito che il calcio non c’entra nulla.

Nutro un’istintiva simpatia per il ribelle che viola le regole. Per quei bambini a cui le mamme a Milano (come faceva la mia) dicono ogni secondo “stà bon, demoni”. E non per la mia storica e annosa idiosincrasia per le regole né per una naif o snobistica ricerca di alternatività. Questa simpatia umana nasce dal riconoscere un mio simile, e dal capire a fondo ciò che lo muove. Non voglio fare lo psicologo né il sociologo. Ma sono stato a tutti gli effetti quello che oggi (ennesima mostruosità modaiola linguistica dei nostri tempi) viene definito un drop out. Non solo perché con gli studi non ho mai avuto un gran feeling e perché non li ho conclusi. Sono stato (e a volte mi sento ancora) un drop out della vita. Un irrisolto, problematico, rompicoglioni e combina casini. E per questo quando guardo Balotelli vedo uno come me.

Una condizione, quella del balordo, che non nasce dal voler essere così o decidendo di esserlo. Anzi. È una condizione in cui ci si trova e da cui uscire è complicato. Due sono le caratteristiche fondamentali che determinano la balordaggine: una spiccata intelligenza e tanta confusione nel stabilire chi si è.

Sì, sto dicendo nello stesso tempo che sono molto intelligente e che lo è anche Balotelli. Ubris? Forse. Non parlo di QI però ma di intelligenza umana. Solo una persona molto intelligente umanamente può essere molto sensibile. Ed è proprio la sensibilità, abbinata a quel non sapere chi si è di cui sopra, l’addizione da cui nasce un drop out, un balordo.

È evidente che un idiota, un personaggio semplice, binario, che non si pone problemi e non si fa domande, nella vita sarà agevolato: questa mancanza di intelligenza umana lo mette al riparo da qualsiasi forma di sensibilità. E dunque da qualunque domanda, su di sé e sul mondo, per cui valga la pena rompere i coglioni nel cercare una risposta. Uno stupido prende le cose come vengono e non va per il sottile. E soprattutto è protetto da un sistema di cui è immagine e somiglianza (giornali, televisioni, opinionisti vip vari ed eventuali).

La domanda polare dunque del balordo è sempre la stessa: chi sono? Una ricerca spasmodica di capire sé stessi, il proprio posto nel mondo e il proprio valore. Se stai cercando di dare risposta a questi quesiti non hai tempo per amenità come i voti scolastici, i compiti, le regole sociali del buon vicinato (o del buon compagno di spogliatoio).

Sono tutte perdite di tempo. E il tempo è prezioso. Noi drop out, generalmente additati perché diversi, sbagliati, alternativi, stiamo spesso in compagnia di chi ci è simile. Cerchiamo appunto il diverso, lo sbagliato, l’alternativo. Cerchiamo cioè qualcosa che sia personale e possa essere vissuto come proprio, non frutto di convenzioni e tradizioni o regolamenti.

Balotelli, come me anni fa, cerca qualcosa che lo aiuti ad essere sé stesso. Mentre per gli altri il problema è fare parte del tutto, omologarsi al tutto, per un balordo il problema è distinguersi, far emergere sé. Non come gesto vanitoso o sintomo di arroganza, ma per esigenza, come frutto di quella ricerca. Tanto che di solito essendo emarginato, è attento e si accorge degli emarginati come lui.

Per questo lo difendo. Il calcio non c’entra nulla. La tecnica, i goal, le prestazioni non sono il tema. Si tratta solo di un problema di intelligenza umana. Buffon e De Rossi rappresentano gli idioti. Quel mondo di conformisti e omologati cui appartiene la vera arroganza, la vera ubris: quella di considerarsi meglio, di considerarsi normali, di considerarsi giusti. Fondando questo assunto sull’essere in maggioranza. E in nome di questo mettere in atto i comportamenti più meschini, laidi e infami con la massima naturalezza.

Buffon e De Rossi sono come quei professori che invece di capire preferiscono tagliare le gambe, quei compagni di classe che invece di sostenere e aiutare preferiscono puntare il dito e “raccontare al prof”, quei genitori che invece di accompagnare preferiscono imporre il proprio progetto. Tutto in nome di una normalità profondamente anormale in cui vanno eliminate le differenze e le personalità. Nascondendo infamie, codardie, soprusi e meschinità con un packaging inossidabile di “valori” (sic) come “merito” e “giustizia”.

Basti guardare la lettura degli ultimi eventi calcistici. Tutti identificano come forti, gagliardi e risoluti quelli come Buffon e deboli, fragili e lavativi quelli come Balotelli.

È esattamente il contrario. Sono i Buffon ad essere dei fragili. Pavidi che hanno bisogno della massa tra le cui fila mimetizzarsi, del gruppo di omologhi in cui nascondersi e con cui farsi forza, del qualunquismo per sentirsi al riparo dalle critiche. Un coraggio che affonda le proprie radici nel consenso altrui non è coraggio. È paraculismo. Ai Balotelli bastano quattro amici e la fidanzata. Qualche scudiero fidato, tutto lì. Per il resto non fa nulla. Perché non può esserci la paura dell’emarginazione in chi ai margini c’è da sempre.

Basti pensare al modo di esprimersi di queste due categorie umane. Se io affermo di essere molto intelligente la massa mi dirà che sono un superbo. Se Buffon invece (dopo la più triste e imbarazzante sconfitta calcistica italiana) dice, parlando in terza persona, che «a tirare la carretta sono sempre i Buffon. Ci vuole un po’ di rispetto, premiando e dando meriti giusti a chi si guadagna sul campo ciò, e non per sentito dire», è un grande uomo. Anche se non ha mai il coraggio di dire io, di (come gli piace tanto dire) metterci la faccia. Quando arriva il momento difficile (del giudizio di stampa e tifosi) Balotelli o tace o attacca frontalmente (magari sbagliando) perché è un uomo. Buffon scarica le responsabilità, parla di rispetto e meriti, non accetta il confronto nascondendosi dietro a mille alibi, perché è un “caporale”. Uno senza intelligenza umana. Non reggerebbe l’urto di non essere più parte della massa.

C’è ancora una cosa. Il balordo non è vero che è menefreghista. Anzi. Balotelli soffre della sua natura. Perché si mette sempre in discussione. Vorrebbe cambiarla, vorrebbe un po’ di pace, ma la natura non si cambia. E così soffre, si maledice per il suo modo di essere, chiede scusa e poi ci ricasca. L’omologato invece non si pone neanche il problema. Vive di e nel teatrino sociale e basta. È più politico che uomo. E come Buffon giudica, scarica la responsabilità, moralizza. Senza mai mettersi in discussione. E, all’apice della grande finzione di cui è vittima e protagonista insieme, riesce anche a chiamare tutto questo “assunzione di responsabilità”.

Responsabilità viene dal latino responsum, risposta. Essere responsabili significa essersi guadagnati il diritto e l’onere di dare risposte. Un uomo che imputa ad altri le proprie sconfitte non si è guadagnato questo diritto. Allora è molto più responsabile Balotelli, che, lui sì, in tutto ha sempre “messo la faccia”. Rispondendo sempre, nel bene e nel male, in prima persona. Pagando di tasca sua. Perché lui è come me. Perché io sono Balotelli.

Per concludere cade a pennello una vecchia canzone dei Bluvertigo, “Sono=Sono”


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