Cooperazione & Relazioni internazionali

45 donne, 1 carovana e i nuovi desaparesidos latinoamericani

di Emanuela Borzacchiello

Non ha nemmeno la quinta elementare Rosa, ma oggi ha tutta la comunità accademica, in silenzio, ad ascoltarla. “Questo non è più un paese accogliente, il México lindo, ma un terreno dinamitado in cui sentiamo che in qualsiasi momento possiamo sprofondare, e saranno i nostri figli quelli che cadranno sempre più in basso”. Nel prestigioso claustro dell’Uuniversità San Juana, nel bel mezzo del centro storico di Città del Messico, solo silenzio e le parole di Rosa.

Prima del 2010 Rosa Nelly non aveva mai varcato nessuna frontiera, nemmeno quella che divideva il suo villaggio – in Honduras – dalla capitale del paese. Poi suo figlio decide di migrare al Nord. E per raggiungere il Nord, bisogna passare per il Messico. Attraversare la frontiera non è solo un percorso ad ostacoli: se non ti rapiscono i narcos per trasformarti da migrante in bassa manovalanza della criminalità organizzata, può toccarti in sorte di essere torturato eo ricattato dalle stesse autorità che dovrebbero difenderti, il tutto in cambio di una manciata di pesos. Se i pesos non ce li hai, il rischio è di ritrovarti in una delle tante fosse comuni a cielo aperto che si possono incontrare per strada, ben lontano dagli occhi indiscreti di turisti alla scoperta di reperti maya o spiagge caraibiche. Per chi invece volesse visitare fosse comuni, spettacoli indimenticabili li troverete sopratutto negli stati di Taumalipas e Nuovo Leòn. E se sei donna migrante tanto peggio, al ricatto e al sopruso, nove volte su dieci si aggiungerà anche lo stupro.

Un percorso ad ostacoli, in cui ti puoi nascondere e schivare tutti i pericoli. Un percorso ad ostacoli in cui puoi cadere e scomparire. Migranti centroamericani: i nuovi desaparesidos dopo la scomparsa delle dittature latinoamericane.

Le 45 e i loro volti: il video

Rosa, nel silenzio, continua a parlare: “Noi sappiamo che con le autorità governative possiamo firmare molti trattati di ricerca, ma sono ricerche di persone morte. Noi non vogliamo morti, vogliamo i nostri cari e li vogliamo vivi. Sappiamo che la nostra causa è giusta e vogliamo sapere la verità, vogliamo sapere che cosa è successo ai nostri e vogliamo che si faccia giustizia, perchè questo non è più un problema di crimine organizzato ma di crimini autorizzati”.

Rosa parla in nome delle 45 donne che hanno dato vita e forma alla Novena Caravana de Madres Centroamericanas Buscando a sus Migrantes, partita da Città del Guatemala per arrivare in Messico e dire che ci sono migliaia di desaparesidos in centroamerica di cui bisogna parlare e che bisogna ritrovare.  4 mila kilometri percorsi a piedi in cambio di una risposta: dove sono finiti?

Se non ci sono dati, non c’è problema. Nel report ANEXO-17-INFORME-CIDH-Migrantes-no-localizados-y-restos-no-identificados-en-Me_xico, presentato nel maggio del 2012 alla Comisión Interamericana de Derechos Humanos (CIDH) dalle organizzazioni civili centroamericane, si afferma che non esistono cifre indicative sui migranti desaparecidos, perchè non esiste mecanismo univoco, una metodologia o un protocollo basico. Uno dei fattori più gravi  l’inesistenza di una base di dati finalizzata alla ricerca delle persone o allo studio dei casi. Altro problema: quando le famiglie si presentano per sporgere denuncia, nella maggior parte dei casi le autorità negano che si tratti di persone scomparse, sequestrate e le catalogano come “assenti”. Il report segnala: “Sono le famiglie che stanno realizzando le ricerche, che viaggiano in città e in luoghi pericolosi per la ricerca dei propri cari”. Ogni istituzione ha i suoi numeri. Per alcune, los desaparecidos arrivano a 70,000. Le cause sono differenti: omicidi, sequestri, sparizioni forzate e tratta di persone. Dal 2010 la localizzazione di fosse comuni, soprattutto nel nord del Messico, riduce la speranza di reincontrare vivi i propri cari. Tra il 2007 e il 2011, sono stati ritrovati almeno 1,230 corpi in 310 fosse clandestine (dati Comisión Nacional de Derechos Humanos).

Madri e non solo. Madri che lottano per ritrovare i propri figli. Donne che sanno che non li ritroveranno più, ma per cui diventa imprescindibile affermare diritti e giustizia contro i crimini perpetrati contro le persone migranti.

Donne diverse per radici e provenienza, si uniscono e camminano in caravana. Seguendo le stesse rotte lungo le quali sono stati distrutti diritti, riescono a ricostruire dignità. Fermandosi in ogni città, raccontano le storie delle persone scomparse. Alla ricerca dei propri figli, cercano di stabilire legami di cittadinanza e alleanze solidali, consapevoli che laddove ci sono fosse comuni di corpi senza nomi l’umanità tutta è chiamata a testimoniare.

Tra le 45 donne della Caravana c’è la señora Blanca. Cerca suo figlio Nelson Gómez Nieto, scomparso da cinque mesi dalla città di Reynosa, Tamaulipas, da dove pensava di varcare la frontiera verso gli Usa. Nelson lasciò suo figlio di 14 anni e sua moglie e il villaggio di Ozayapango, in San Salvador.  “L’ultima volta che abbiamo saputo di Nelson, faceva il meccanico, quando lo licenziarono decise di incamminarsi per il nord, in cerca di lavoro”.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA