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Lo spazio pubblico

di Paolo Venturi

Lo spazio pubblico è l’arena su cui si gioca una diversa idea di società, di economia e di politica. L’interpretazione (spesso riduzionista) di cosa sia pubblico, definisce le scelte e gli incentivi delle istituzioni (economiche-sociali-pubbliche) e influenza il corso della storia. “Le istituzioni sono le regole del gioco di una società o, più formalmente, i vincoli che gli uomini hanno definito per disciplinare i loro rapporti. Di conseguenza danno forma agli incentivi che sono alla base dello scambio, sia che si tratti di scambio politico, sociale o economico” ( Douglass North)

La trasformazione in atto nel Terzo settore (che incorpora il concetto di utilità generale), la riforma dell’impresa sociale (finalizzata a perseguire l’interesse generale), i cambiamenti del volontariato (impegnato a reinterpretare in una società post-moderna il concetto del dono e del bene comune), la nuova governance dei beni comuni e la ri-generazione degli innumerevoli asset pubblci, postulano un ancoraggio solido al significato di “pubblico”.

L’accento “statalista” da una parte e quello “mercatista” dall’altra, spesso polarizzano la definizione di questo “spazio” facendolo coincidere a volte con il perimetro delle Istituzioni Pubbliche, altre con un’azione distaccata che osserva la domanda e l’offerta di mercato nel trovare un equilibrio e poi intervenire solo per riparare o regolare.

Ma a ben pensare, cosa manca a queste due visioni? L’idea di comunità.

Se le persone che fruiscono del bene comune non riconoscono che esiste tra loro un legame di reciprocità, né il contratto sociale hobbesiano, né l’individualismo libertario che si affida alla coscienza dei singoli, potranno mai costituire soluzioni soddisfacenti al problema dei beni comuni e la costruzione di uno spazio pubblico.

Uno Spazio, quello Pubblico, che Hannah Arendt nel suo “Vita activa”  aveva magistralmente descritto:

“Il termine “pubblico” denota due fenomeni strettamente correlati ma non del tutto identici. Esso significa, in primo luogo, che ogni cosa che appare in pubblico può essere vista e udita da tutti e ha la più ampia pubblicità possibile. Per noi, ciò che appare – che è visto e sentito da altri come da noi stessi – costituisce la realtà (…)

(….) In secondo luogo, il termine “pubblico” significa il mondo stesso. In quanto è comune a tutti e distinto dallo spazio che ognuno di noi vi occupa privatamente. (…)Vivere insieme nel mondo significa essenzialmente che esiste un mondo di cose tra coloro che lo hanno in comune, come un tavolo è posto tra quelli che vi siedono intorno; il mondo, come ogni in-fra [in-between], mette in relazione e separa gli uomini nello stesso tempo.

(…) La sfera pubblica, in quanto mondo comune, ci riunisce insieme e tuttavia ci impedisce, per così dire, di caderci addosso a vicenda.

(…) Questo è il significato della vita pubblica, in confronto al quale anche la più ricca e più soddisfacente vita di famiglia può offrire solo il prolungamento o la moltiplicazione della propria posizione individuale, con i suoi relativi aspetti e le sue prospettive.

(…) Sono tutti imprigionati nella soggettività della loro singola esperienza, che non cessa di essere singolare anche se la stessa esperienza viene moltiplicata innumerevoli volte. La fine del mondo comune è destinata a prodursi quando esso viene visto sotto un unico aspetto e può mostrarsi in una sola prospettiva.

(Hannah Arendt, Vita activa, II, 7, La dimensione pubblica: l’essere in comune, Bompiani, 1998)

* La foto è tratta dal progetto INSIDE OUT NEW YORK CITY dell’artista JR.


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