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Castell’Umberto, un paese che sa accogliere

di Paolo Iabichino

È sempre questione di punti di vista. Sì, quei punti di vista che dovrebbero aiutarci a comprendere meglio la realtà che ci circonda per mostrarci le cose non solo attraverso i nostri occhi ma, anche, attraverso quelli dell’altro.

Questo dovrebbe accadere quando, sulle nostre coste e nel nostro paese, arrivano bambini, ragazzi, donne e uomini che portano con sé la fatica di un viaggio carico di dolori passati e speranze future.

Chi sono, che esperienze hanno vissuto, cosa hanno visto, che vita avevano: chissà se ce lo siamo chiesti qualche volta prima di giudicare dando sentenze che non saremmo autorizzati a esprimere.

E cosa succede se il punto di vista cambia?

Come nelle migliori storie, succedono cose che possono sorprendere come è accaduto a Castell’Umberto un piccolo comune siciliano che ha accolto i migranti che il sindaco voleva rifiutare.

Non serve entrare nel merito di un caso di cui la cronaca ha parlato per giorni serve molto di più capire come un’intera comunità abbia deciso di prendere una posizione diversa, un posizione fatta di umanità. Una comunità che, semplicemente, ha compreso quanto potesse essere orrendo vivere in un paese che faceva del razzismo un punto di merito con la consapevolezza che, a volte, aiuta la ricerca di soluzioni.

Un’assemblea cittadina ha portato alla nascita del Coordinamento Senza Frontiere di cui Alice Favazzo è, oggi, l’attuale presidente. Questo coordinamento costruisce ogni giorno un percorso quotidiano fatto di piccole azioni condivise attraverso le quali ognuno può mettere a disposizione dell’altro quello che sa e sa fare con l’obiettivo comune di dare, a questi ragazzi, la possibilità di potersi integrare ritrovando la dignità per sentirsi ancora capaci di camminare con le loro forze.

Iniziative, attività, una terra da conoscere, lavori da imparare questa è l’integrazione di Castell’Umberto fatta di concretezza, quella concretezza che permette alle persone di dare un senso alla propria esistenza.

E poi, ancora, un corso di fotografia tenuto da Franco Blandi al quale hanno partecipato i ragazzi migranti insieme a quelli del luogo in un’esperienza unica di confronto e scoperta oppure “Aggiungi un posto a tavola” dove le famiglie hanno aperto le porte di casa per il pranzo della domenica pronte ad accogliere e a condividere non solo un pasto ma un momento particolare come quello che si crea solo quando si sta tutti insieme alla stessa tavola.

E allora Castell’Umberto è l’esempio di un’Italia che sa fare integrazione pur non sapendolo.

Un’Italia che si mette in discussione perché è riuscita a cambiare il proprio punto di vista.

La politica fa il suo corso, le leggi vanno avanti, le conseguenze del decreto sicurezza fanno sì che questi migranti vivano la precarietà della vita ma, qualunque cosa succeda, non dimenticheranno mai il calore di un paese che li ha protetti e resi parte integrante della loro comunità.

Ci sono tanti modi di dire integrazione: Castell’Umberto è uno di questi.

Storia raccolta da Rossana Cavallari


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