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Cooperazione & Relazioni internazionali

Graecia capta ferum victorem cepit

di Marco De Ponte

In queste ore quale pensiero non va alla Grecia? Il mio anche non in maniera astratta va ai colleghi, alle famiglie e a tutte le persone al cui fianco si trovano con azioni concrete in tanti paesi del mondo. ActionAid vive e cresce di più altrove, ma nasce in Europa, in quella storia che i nostri padri hanno deciso di far continuare creando uno spazio condiviso per vivere in pace dopo gli orrori dell’Olocausto. La Comunità e poi l’Unione Europea ha dato a milioni di persone la possibilità di non aver visto la guerra se non lontano e attraverso gli occhi di una stampa relativamente libera. Oggi sono in Asia, in India e fino all’altro giorno ero in Indonesia e ancor prima in Cambogia: tra i motivi per cui sono qui c’è quello legato all’interrogarsi continuamente anche in merito alla sostenibilità economica della nostra Federazione ActionAid, su come quella sostenibilità non possa più poggiare (anche per ragioni di legittimità in altri luoghi) sulla sola “vecchia” Europa. E dunque mi è chiarissimo come il cuore pulsante del mondo sia forse ormai altrove rispetto ai nostri paesi. Ma ciò non toglie una virgola al valore unico della costruzione europea. E’ terribile constatare oggi come non sia la solidarietà il valore che prevale in questi giorni e che forse ci poteva distinguere. Ci comportiamo con i “boat people” nel Mediterraneo come si comportano India e Bangladesh nell’Oceano Indiano . La solidarietà non prevale nel nostro mare e ai confini dei nostri paesi; ma nemmeno nelle sale in cui si riuniscono i leader europei per discutere delle sofferenze di uno dei nostri stessi popoli. Sui media ancora una volta il dibattito prende toni e forme semplificatori: ‘fuori/dentro l’eurozona’, gioco di forza tra Germania e Grecia, Tsipras eroe o vigliacco irresponsabile. O magari si finisce a dissertare di come gli italiani potranno affrontare una vacanza nelle isole greche, senza impedimenti ai bancomat.

Certo la Grecia non è un paese africano, ma come non pensare un po’ più seriamente al debito accumulato negli anni Ottanta da paesi che allora parevano così lontani. Veniva loro imposto un modello di “sviluppo” (economico, ben poco “sociale”) che ignorava come il loro debito non avrebbe mai potuto essere ripagato senza investimenti e senza tener conto dei più deboli. Come non può essere ripagato il debito greco, se le regole del gioco rimangono queste. E l’Argentina “italiana” che appena il decennio scorso, pur essendo molto più grande, fallì per un debito molto più piccolo di quello greco? Forse servirebbe una analisi che non dovrebbe nemmeno ricorrere alla storia e potrebbe soffermarsi alla cronaca che tutti abbiamo vissuto. Per capire che la crisi greca non è e non è mai stata di liquidità, ma di “competitività” e nessuno (Italia compresa) diventa competitivo senza investire sul rinnovamento delle sue istituzioni, sui propri giovani, dando garanzie sulla questione “occupazione”.

È grazie alla società civile (su cui ci sarebbe sempre da investire) che nel corso degli ultimi decenni si è preso coscienza di come il debito sovrano fosse insostenibile per i paesi del Sud del Mondo: l’Italia è stata tra i paesi che ha pure orgogliosamente legiferato sulle progressive cancellazioni del debito (legge 209) ed ha proceduto con esitazioni e titubanze minori di altri. Si è preso coscienza di come le ricette di aggiustamento strutturale imposte dalle istituzioni di Bretton Woods avessero ingigantito povertà e danneggiato lo sviluppo economico di paesi già poveri in partenza. Ci si è resi conto di come il servizio del debito fosse una vera rapina legalizzata, una forma di moderna schiavitù da cui è impossibile uscire. E oggi non vediamo come valga lo stesso per uno dei nostri paesi?

Un’altra questione riguarda quale concetto di democrazia prevalga in Europa? La democrazia (proprio dal greco: ‘potere’, non ‘tirannia’ del popolo!) come viene percepita all’interno di quello spazio europeo che oltre 60 anni fa Altiero Spinelli, dall’isola di Ventotene, auspicava come garanzia di un futuro libero? Non c’e’ – in questi giorni – anche da domandarsi come la democrazia venga usata dai più (tra le élites) o distorta a proprio piacere? Al di là del si o del no di domenica (che effettivamente verrà comunque strumentalizzato dato che non puo’ nemmeno essere nel merito di una proposta oggi sul tavolo), prima (ben prima) il popolo greco ha eletto una coalizione che ha promesso riforme e cambiamenti dentro l’alveo delle istituzioni europee. Pur commettendo errori forse imperdonabili, Tsipras ha negoziato con le istituzioni europee, sulla base di un mandato che la cittadinanza gli ha conferito. E che questo venga mal sopportato o che primi ministri e cancellieri facciano commenti sull’esercizio democratico in casa altrui, mi pare fuori luogo. Proprio in Europa! Possiamo passare ore a disquisire sulle modalità attraverso cui la democrazia è rappresentata, amministrata e esercitata. Ma una cosa è certa, la democrazia richiede informazione e dibattito, altrimenti non si fa chiarezza su ciò che c’è in ballo.

Penso che i greci abbiano in questo frangente, l’opportunità di dimostrare di essere al di sopra e migliori dei loro governanti (passati e presenti ) e più forti della paura. Solo un grande popolo poteva parlare tremila anni fa di potere della gente (ora lo si chiama “empowerment” che sta meglio in un hashtag). Spero che, continuando a essere europei, i greci possano dimostrarci che anche un piccolo popolo può esercitare una leadership sostanziale: accettando alcuni sacrifici sensati e non altri. Graecia capta ferum victorem cepit.


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