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Cooperazione & Relazioni internazionali

Il no del Parlamento al Global Compact non è una sorpresa

di Marco De Ponte

Il 27 febbraio la Camera dei Deputati ha approvato una mozione di Fratelli d’Italia che, tra le altre cose, chiede di non sottoscrivere il Patto globale per le migrazioni sicure, ordinate e regolari (Global Compact for safe, orderly and regular migration). La mozione riguarda misure “concernenti iniziative per il contrasto all’immigrazione clandestina e alle organizzazioni criminali straniere, con particolare riferimento alla cosiddetta mafia nigeriana”. Oltre al no definitivo alla firma da parte dell’Italia sul Global Compact, la mozione votata, con l’astensione dei Cinque Stelle e della Lega, chiede al governo di creare centri hotspot nei Paesi del Nord Africa, per l’esame delle domande di asilo.

La scelta del Parlamento di non firmare il Global Compact non è certo una sorpresa, dopo il rinvio della decisione lo scorso dicembre durante la delicata fase di discussione della Legge di Bilancio.

Ma l’opposizione al Global Compact non è mai entrata nel merito del documento. A differenza di quanto afferma la mozione che ne respinge la firma, il testo è un documento non vincolante e non contiene traccia di alcuna riduzione della sovranità dei singoli Paesi in materia di politiche migratorie, né di obblighi specifici derivanti dall’adesione. Aspetti questi, che più che preoccupare per l’effettiva riduzione dello spazio di autonomia dei singoli stati, sollevano perplessità riguardo la capacità di incidere con efficacia sulle politiche migratorie a livello globale.

Il Global Compact è un primo tentativo di risposta coordinata da parte dell’intera comunità internazionale alle sfide poste dai fenomeni migratori. Pur mostrando passi avanti su alcuni importanti aspetti, rimane tuttavia caratterizzato da significative ombre frutto dell’attuale congiuntura politica internazionale che vede prevalere un approccio di chiusura e securitario nei confronti dei flussi. Inoltre, il documento poggia sulle normative internazionali in materia di diritti umani, che il nostro Paese è già obbligato ad osservare.

Per quanto riguarda invece la proposta contenuta nella mozione di adottare iniziative per garantire la immediata creazione di centri hot spot nei Paesi del Nord Africa, per l’esame delle domande di asilo, è chiaramente frutto della cultura politica che attualmente determina l'agenda del governo in tema di immigrazione. Evocare il tema della valutazione delle domande di asilo nei paesi del Nord Africa, infatti, è demagogico e non ha nulla a che fare con l’attuale composizione qualitativa e quantitativa dei flussi migratori. Dal punto di vista degli arrivi, infatti, le politiche di cooperazione con le autorità libiche hanno determinato una riduzione verticale del numero delle persone che arrivano nel nostro Paese, determinando una condizione di diffusa e generalizzata privazione della libertà personale e dei diritti minimi nel Paese nordafricano. In quest'ottica, il richiamo al tema dell’esame delle domande di asilo nei Paesi di origine e di transito sembra l’estemporaneo tentativo per continuare ad agitare il tema dell’emergenza.

Dal punto di vista dell’effettivo bisogno di protezione, l’idea di poter selezionare nei Paesi di origine e di transito i cittadini stranieri desiderabili appare incongrua, inverosimile, inumana. Peraltro, l’approccio hotspot ha contribuito a determinare rilevanti violazioni anche in Italia, ad esempio in tema di trattenimenti extralegali e selezione informale tra richiedenti asilo e cittadini stranieri classificati come irregolari. Estenderlo sembra dunque un’idea pericolosa.

Il numero di morti nel Mediterraneo è inaccettabile. Occorre promuovere iniziative di segno opposto rispetto alla proposta di realizzare hotspot sulla sponda sud del Mare Nostrum. È indispensabile che i cittadini stranieri possano accedere legalmente e in maniera sicura in Europa, attraverso una politica di riconoscimento dei visti che superi l’idea che il viaggio via mare sia l’unica soluzione percorribile.


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