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Covid19, non torniamo alla “normalità” delle politiche migratorie: regolarizzare ora

di Marco De Ponte

Finora il Governo per far fronte all’emergenza in corso non ha introdotto misure per la tutela giuridica e sociale delle persone di origine straniera, né previsto modalità che ne garantiscano l'accesso effettivo agli strumenti di sostegno pensate per le persone più colpite dalla crisi.

Le straniere e gli stranieri che vivono in Italia sono, inclusi i non residenti, circa 6,3 milioni – il 10,3% della popolazione presente sul territorio nazionale – secondo la Fondazione Ismu. La presenza di lavoratori e lavoratrici di origine straniera è decisiva tra i settori produttivi strategici nella gestione dell’emergenza Covid19: la filiera agroalimentare, il lavoro domestico e di cura e la logistica giocano un ruolo decisivo. Senza la forza lavoro migrante – molto spesso sottoposta a gravissime forme di sfruttamento – settori cruciali della nostra economia sarebbero oggi paralizzati.

Nonostante la rilevanza numerica e l’importanza strategica, i decreti sicurezza e immigrazione hanno contribuito a consolidare la tendenza decennale di erosione progressiva dei diritti. A questa «marginalizzazione giuridica» corrisponde un’inquietante «marginalizzazione sociale». Molti lavoratori e molte lavoratrici stranieri hanno status giuridici precari oppure sono in condizione di irregolarità, vivono in contesti abitativi inadeguati e sono sottoposti a ricatti.

È perciò indispensabile un provvedimento per la regolarizzazione dei cittadini stranieri privi di permesso di soggiorno. Non sarebbe soltanto un risultato formale: chi è regolarmente soggiornante può sottoscrivere un contratto di lavoro e di locazione, migliorando significativamente la propria condizione di vita e fuoriuscendo dalla sfera della ricattabilità assoluta. La regolarità del soggiorno, di per sé, non mette al riparo dallo sfruttamento, ma è evidente che la condizione di regolarità aumenta le possibilità di tutela.

Sarebbe un segnale reale di discontinuità rispetto al recente passato. Rendere “regolare” chi oggi è invisibile può essere il primo passo per configurare una gestione delle politiche migratorie che aumenti la qualità della democrazia. Un intervento che può anche contribuire a contrastare l’azione delle mafie. Come spiegato da Davide Mattiello, consulente della Commissione Parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie, che indica cinque fronti su cui riorganizzare l'impegno antimafia in vista degli esiti dell'emergenza coronavirus, la regolarizzazione di tutti i migranti senza soggiorno, per garantire diritti di base, tutela della salute delle persone straniere e della salute pubblica, ma anche per evitare “che il bisogno di braccia nelle nostre campagne saldi ancora di più criminalità e sfruttamento”.

Il Governo prevede misure che vengono annunciate come storiche, soprattutto in ambito economico. È necessario che la via d’uscita dall’emergenza sia segnata anche dall’introduzione di misure che aumentino la sfera dei diritti, a partire da quelli più paradigmatici e delicati. Ci aspettiamo dunque che il governo, e la ministra Lamorgese in particolare, dia seguito all’apertura palesata lo scorso gennaio, prima dell’inizio dell’emergenza. Invitiamo la ministra ad ascoltare inoltre le richieste della ministra Bellanova e di altre voci autorevoli che ritengono questa misura tra le più urgenti in questa fase critica.

È indispensabile che segua anche l'introduzione di un meccanismo di emersione dall’irregolarità di tipo ordinario: come prevede la proposta di legge di iniziativa popolare “Ero straniero” in discussione alla Camera di cui ActionAid è tra i promotori, la regolarizzazione su base individuale di chi è privo di titolo di soggiorno, attraverso un meccanismo sempre accessibile, che superi la normativa esistente, che ha dimostrato di essere del tutto inefficace e che continua a produrre evasione fiscale e contributiva, illegalità, sfruttamento e marginalità sociale.

Di pari passo con l’introduzione di previsioni finalizzate alla regolarizzazione, è necessario, a cominciare dal comparto agroalimentare, aumentare i salari e combattere lo sfruttamento a prescindere dalla nazionalità della forza lavoro.


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