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Quando il lavoro in carcere restituisce la dignità

di Elisabetta Ponzone

L’altra sera al Pime a Milano ho conosciuto Gemma Capra, vedova del commissario Calabresi, ucciso il 17 maggio 1972. E’ stata una serata bellissima, ho pianto per la commozione. La signora Gemma (che nome bellissimo), con la brava Anna Pozzi del Pime, ha raccontato al pubblico la sua fede e la sua scelta di vivere la vita con gioia. Nonostante la tragedia.

Allora aveva 25 anni, due figli e uno nella pancia. Era mattina, suo marito era sotto casa. E’ stato freddato con due colpi davanti al suo portone. Non è più tornato in famiglia dai lei e dai suoi figli. La moglie si è seduta sul divano e dice di aver riconosciuto, in quel momento del dolore, la fede. «Ho sentito che Gesù era con me» ha detto. Da allora ha abbracciato la vita e abbandonato il rancore. Io non ce l’avrei fatta. Lei invece ha anche perdonato.

Mi ha colpito molto quando ha ricordato di quando in tribunale ha visto Sofri accarezzare suo figlio chiedendogli di andare via, di non rimanere in quell’aula. «In quel momento – ha detto Gemma – ho riconosciuto anche in Adriano Sofri il suo essere padre, preoccupato che il figlio non sentisse cose troppo brutte. Ho riconosciuto in lui un “pezzetto” di me». Che donna! In quel momento ho ricordato quando Mario, Gabriele, Pino e tutti gli altri ragazzi dentro, in carcere, mi hanno raccontato, con una delicatezza assolutamente inaspettata, dei loro figli. Mi sono ricordata di quanto fossero preoccupati di offrire un futuro migliore ai loro ragazzi. Alla fine non c’è tanta differenza tra padri dentro e fuori.

Gemma ha poi raccontato anche il suo stupore di quando, durante una visita nel carcere di Padova, tre detenuti le hanno spiegato di quanto fosse importante il lavoro che stavano svolgendo all’interno dell’istituto penitenziario e di quanto ne fossero felici.

E’ da troppo tempo che non scrivo qualcosa qui su Vita. E’ stato un periodo tanto, tanto pieno di lavoro, di fatica, ma nello stesso tempo di grande soddisfazione. Abbiamo lavorato molto nel laboratorio di sartoria Borseggi nel carcere di Milano-Opera. I ragazzi dentro hanno fatto delle cose bellissime. A volte sono tornati a fine giornata in cella stanchi morti, ma sempre così orgogliosi e felici del loro lavoro. Sono davvero contenta che una donna come la vedova Calabresi abbia nel cuore l’importanza del lavoro in carcere. PS: per vedere i frutti del lavoro dei nostri ragazzi, dal 13 al 15 marzo, siamo alla fiera di Milano “Fa la cosa giusta!”, padiglione 4, settore “economia carceraria”.


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