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Gabriele, ergastolano, con la sua cella ai Frutti del carcere

di Elisabetta Ponzone

Ieri Gabriele mi ha mandato una foto. Con Andrea ha ricostruito una cella. La casa quotidiana delle persone detenute. Sbarre, finestra, lavandino, branda, cesso. È una sorta di museo itinerante che vuole far riflettere sull’uomo, gli spazi, sui diritti e sui doveri. In anteprima verrà esposta ai Frutti del carcere, a Milano, sabato 30 settembre nel chiostro del Museo Diocesano in via di Porta Ticinese 95. La quinta edizione della manifestazione cittadina durante la quale Milano si interroga sui temi della detenzione e delle alternative al carcere con tantissimi incontri e testimonianze, esponendo inoltre il meglio delle produzioni realizzate da persone detenute ed ex che, attraverso il lavoro, si guadagnano una vita migliore. «Speriamo venga tanta gente. – Dice Gabriele – Soprattutto giovani. Ho un sacco di cose da dire!». Ognuno è invitato a lasciare il suo messaggio appeso alle sbarre.

Gabriele, siciliano verace, classe 1970 è in carcere dal 1995. Ergastolano, ma oggi semilibero. In pratica va a dormire dentro, nel carcere di Milano-Opera, ma lavora fuori dove ha messo in piedi un giardino condiviso in un terreno agricolo nel sud di Milano, in zona 6, accanto al villaggio Barona, nel quale si organizzano attività di integrazione sociale coinvolgendo la cittadinanza, il territorio e detenuti volontari in permesso che, tra una pianta di insalata e un cestino di mirtilli, fanno capire ai ragazzini, con quell’innata semplicità, che la criminalità non vale la pena e bisogna tendere a una vita migliore.

Sulla cella Gabriele ha scritto: «In ogni tempo, quando di tempo pareva non ne avessi, mi rinchiudevano nel mio spazio. Mio l’avevo fatto, insieme ai miei pensieri. Il bagno mi aspettava per liberarlo da ogni sgradevole odore, il letto mi voleva solo poche ore, la notte, poiché il mio peso infastidiva il suo riposare. Quel pezzo di ferro m’addrizzava la schiena; se provavo a spostarlo qualcuno da sotto mi bussava: non volevano sentire il lamento acuto di quel ferro inumidito. Eravamo io, il cesso e il letto, a comunicarci disappunto per la nostra solitudine. Di questo trio volevano far parte anche il lavandino e gli armadietti, il loro contributo non volevano fosse taciuto.

L’armadio più grande lamentava la pochezza di indumenti nel suo spazio, si sentiva sprecato; il più piccolo, poggiato su bombolette di gas vuote, non trovava giusto sopportare tutto quel peso di pasta pelati e altre “ciberie”, appeso come un disabile su stampelle coperte di polvere e martoriate dai colpi di scopa che disturbavano il suo sonno. Il lavandino soffriva, costretto in ogni stagione al freddo gelido dell’acqua. Tutti in disappunto comunicavano tra di loro e infine con me. Volevano che io trovassi soluzioni a quella solitudine e malinconica compagnia. Cominciai così a farmeli amici, a rendermi utile a loro. Il letto non lo spostavo più, mi sdraiavo sotto di lui per pulirlo dall’umidità. L’armadio più grande lo riempivo di libri e di lettere, così da farlo sentire finalmente realizzato. Il più piccolo lo usavo per farci il forno, e il lavandino iniziò a conoscere l’acqua calda, resa tale dall’amico mio prediletto, il fornello.

Tutto pareva funzionare bene, nessuno più lamentava solitudine, gli spazi e le cose li usavo senza disturbare nessuno. Ma a volte la prepotenza di qualche “garante del nulla” voleva farci un dispetto, ci separava. A suo dire, quei suppellettili a me cari potevano diventare armi e strumenti per inganni. I miei amici finivano in magazzino, me li portavano via. Rimanevo nuovamente solo, io, le mura e i cancelli.

Miei cari compagni di solitudine, branda, fornello, armadi e lavandino, e anche tu, mio fetente cesso, oggi che posso stare in mezzo a tanta gente e a tante cose belle, vorrei portarvi nei miei pensieri per raccontare chi sono stato ieri.»

Gabriele lavora con Opera in Fiore, una delle cooperative sociali che lavorano con persone detenute dentro e fuori le carceri milanesi e che da qualche anno, tutte insieme, hanno dato vita al Consorzio Vialedeimille, il concept store pioniere dell’economia carceraria nato su iniziativa dell’assessorato alle Politiche del Lavoro del Comune di Milano.

I FRUTTI DEL CARCERE: sabato 30 settembre 2017 dalle 10,00 alle 18,30 al Museo Diocesano di Milano, in Corso di Porta Ticinese 95. INGRESSO GRATUITO. L’evento è promosso dall’Associazione milanese Per I Diritti in collaborazione con La Camera Penale di Milano, la Caritas Ambrosiana, il Consorzio VialedeiMille, il Ministero della Giustizia, i Chiostri di Sant'Eustorgio e il Festival per i Diritti con il patrocinio del Comune di Milano, l’Ordine degli Avvocati di Milano e la Fondazione Cariplo. facebook.com/PerIDiritti #tuttiInvitati!


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