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Sebastiano: «Fare il pane mi ha salvato la vita»

di Elisabetta Ponzone

È da quando non c’è più la mia mamma che mi soffermo a guardare le persone con uno sguardo diverso. Siamo davvero capaci di restare fedeli a ciò che ci è caro?

Sebastiano ha 46 anni, una moglie e quattro figlie. Tutte femmine. La sua mamma faceva la bidella, era una persona brava e semplice, rimasta vedova troppo giovane. Lavorava come una matta e Sebastiano, intanto ragazzino, frequentava il quartiere giù nella sua Calabria, dove a volte era difficile capire il limite della legalità. «Guadagnavo tanti soldi. Non capivo neppure come. Mi sentivo importante.»

Il suo ultimo reato risale al 1998, ma è stato arrestato nel 2013 e la sua pena è ancora tanto, troppo lunga. Da un paio di anni, in carcere, ha imparato un nuovo lavoro. «Non sapevo fare nulla ma oggi so fare il pane! Un giorno Elisa della cooperativa In Opera – quelli che hanno dato vita a un laboratorio di panetteria nel carcere maschile di Milano-Opera – mi ha selezionato per un corso di panificazione. Ero stranito perché mi sembrava impossibile imparare.» Alla fine Sebastiano ha imparato. E bene. Ma oggi non impasta più tutte le notti acqua e farina con le altre persone detenute.

Ogni mattina Sebastiano esce dal carcere e va a lavorare nel nuovo reparto panetteria del Consorzio Vialedei Mille di Milano grazie all’art. 21 che non è una vera misura alternativa alla detenzione ma un beneficio che consiste nella possibilità di uscire dal carcere per svolgere un’attività lavorativa. «Ci è dispiaciuto tantissimo perderlo come panettiere dentro, nel laboratorio, era molto bravo! – Sottolinea Elisa. – Ha partecipato a un corso di panificazione che abbiamo organizzato con Ezio Mariano, ambasciatore del pane, e ha imparato bene e ora è diventato altrettanto bravo nelle vendite in panetteria. Ci mette l’anima. E poi lo stare fuori dal carcere di giorno per lavorare gli permette di rimettersi in gioco.»

«L’altro giorno una cliente mentre comperava il pane – afferma Sebastiano – mi ha detto che suo figlio adolescente sta prendendo una brutta piega. Frequenta sbruffoni e mezzi delinquenti. Le ho detto di portarlo qui, che gli avrei raccontato che cos’è il carcere e chi sono i veri eroi!». La signora è tornata. E suo figlio sembra aver capito.

«L’amore e il lavoro mi hanno salvato la vita. Quando mi sono fidanzato con quella che sarebbe diventata mia moglie, ho capito che era una persona speciale, con la quale avrei potuto volere una vita diversa. Ormai il reato lo avevo già commesso e così, dopo che erano già nate le mie figlie, mi sono costituito. Certo non è facile stare dentro e fuori. Ma bisogna affrontare la realtà e restare fedeli a chi amiamo. Io ho trovato una famiglia favolosa, ora devo restituire il mio debito. E intanto in questi anni di carcere ho trovato persone inimmaginabili che mi hanno dato fiducia.»

Una volta, Cosima Buccoliero, vice direttrice del carcere di Bollate, durante una sua testimonianza davanti a centinaia di giovani ha detto che “la formazione e il lavoro in carcere sono strumenti che permettono alle persone detenute di costruirsi una vita migliore all’esterno”.

«Ogni mattina, quando esco dal carcere e prendo il tram per venire qui a lavorare, mi soffermo sempre a guardare le altre persone che viaggiano con me. – Conclude Sebastiano – Ci sono barboni, persone vestite bene e male, giovani e vecchie. Mi piace tantissimo. Seduti lì, io fuori dalla mia cella e loro fuori dalle loro case, siamo tutti uguali.»


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