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Ragion politica e Ragion di Stato

di Sergio Segio

E così i due fucilieri della Marina militare italiana hanno terminato la loro licenza premio e sono tornati alla libertà vigilata in India, in attesa del processo per il duplice omicidio di due pescatori. Li avevano scambiati per pirati, è la loro versione, prontamente sposata in Italia, con ardore patriottico, dal Capo dello Stato in giù. Nessuno ha eccepito che, pescatori o pirati, si trattava di persone disarmate uccise senza motivo. La difesa è peraltro incentrata su un elemento tecnico – la sussistenza o meno della giurisdizione indiana – più che sul fatto in sé, evidentemente giudicato trascurabile: «Abbiamo sparato in acqua – hanno ribadito ieri Girone e Latorre – e in ogni caso eravamo in acque internazionali». Una linea formalistica sostenuta anche dal governo italiano, che fornisce ai due militari l’assistenza giuridica e diplomatica del ministero degli Esteri e della Difesa e il sostegno aperto delle massime autorità istituzionali.

Tanto che i due, all’arrivo per la licenza in Italia 15 giorni fa, sono stati ricevuti con tutti gli onori al Quirinale da Giorgio Napolitano, dopo essere arrivati con un volo di Stato e aver goduto del pagamento di una cospicua cauzione, sempre con fondi dello Stato italiano.

Nulla di nuovo e nulla di strano. Il mestiere dei militari, in fondo, è quello di usare le armi, per difesa, per offesa o per accidente. In questo mestiere, il loro mandante, lo Stato, non può che essere corresponsabile, per non dire complice.

Si chiama Ragion di Stato. La stessa per la quale, da sempre, si convive e talvolta collabora con le organizzazioni criminali mafiose.

Del resto, in Italia, se lo Stato, dai massimi vertici in giù, abbia o meno trattato con la mafia pare non interessare nessuno. In fondo son cose del secolo scorso. Tanto meno interessa agli eredi di quel compromesso storico che oltre 30 anni fa sacrificò ogni tentativo di salvare la vita di Aldo Moro al cinico imperativo della cosiddetta fermezza.

Dopo l’apertura di un’inchiesta a riguardo da parte della Procura di Palermo e la notizia sull’esistenza di intercettazioni telefoniche tra un ex ministro e l’attuale inquilino del Quirinale, l’attenzione è stata interamente spostata sugli elementi giuridici e costituzionali e da lì pare non volersi schiodare, tanto più dopo la sentenza della Consulta che ha sposato le ragioni di Giorgio Napolitano.

Peraltro, l’inchiesta della Procura in ogni caso non potrebbe che partorire un topolino, vale a dire la scoperta che, da che mondo è mondo, opera l’interesse supremo dello Stato che ha il primato su qualsivoglia legge o trasparenza. Di volta in volta, in base alle convenienze politiche di chi occupa lo Stato in quel momento, e in generale del sistema dei partiti e dello statu quo, quella Realpolitik sceglierà di trattare o meno, di cedere o di irrigidirsi di fronte a poteri ed eventi esterni che minaccino, o che si suppone minaccino, o che si finge minaccino, l’interesse supposto dello Stato, o meglio di qualche suo inquilino.

Non che non vi sia in ciò una logica, se non altro quella del Principe di Machiavelli. Tanto che alla Ragion di Stato si affianca naturalmente, e ne dipende, il Segreto di Stato, un robusto e capiente armadio maleodorante, tradizionalmente pieno di scheletri e vergogne. Un segreto opposto alle richieste dei magistrati, ad esempio, nella vicenda del rapimento di Abu Omar sia da parte del Governo Prodi, sia di quello retto da Berlusconi. A dire del carattere bipartisan delle ragioni ultime del potere.

Sarebbe tuttavia ingiusto affermare che l’inchiesta di Palermo non abbia prodotto alcunché. Sia pur in maniera indiretta, infatti, ha consentito al pubblico ministero Antonio Ingroia di formare una lista politica a sé intitolata che concorrerà alle prossime elezioni. Vedremo con quali risultati. Uno lo ha già determinato: il deragliamento di un nascente “quarto polo” che da opzione innovativa, interessante e genuinamente radicale si è trasformato in un ostello per pezzi e pezzetti delle vecchie formazioni politiche, più o meno di sinistra e più o meno decrepite e in particolare delle loro anime giustizialiste.

La Ragion politica, a volte, non è meno cinica e respingente della Ragion di Stato, di cui è stretta parente.


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