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Chi ha paura dell’impegno dei giovani per la pace?

di Pasquale Pugliese

Tra la risoluzione dell’ONU e i freni del governo italiano

Lo scorso 9 dicembre è passata piuttosto sotto silenzio nei media italiani un’importante risoluzione, approvata all’unanimità, del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (la n. 260/2015) che riconosce – per la prima volta in un documento ufficiale – il ruolo attivo che i giovani possono svolgere nella prevenzione, risoluzione e riconciliazione dei conflitti. Ricordando che la generazione tra i 18 e i 35 anni, in questo momento, è la più ampia che l’umanità abbia mai avuto e che i giovani spesso costituiscono la maggior parte della popolazione dei paesi colpiti da guerre e terrorismi, riconosce che essi possono giocare un ruolo attivo e importante nella costruzione dei percorsi di pace. Oltre ad invitare gli Stati ad attuare politiche di protezione delle giovani generazioni – vittime delle guerre o delle possibili tentazioni terroristiche – attraverso programmi di inclusione, lavoro e riconoscimento dei loro diritti fondamentali, la risoluzione “esorta gli Stati membri ad aumentare” – e questa è la vera novità – “la loro politica, finanziaria, tecnica e di supporto logistico, che tengono conto delle esigenze e partecipazione dei giovani negli sforzi di pace, in situazioni di conflitto e post-conflitto.”

Il protagonismo dei giovani come costruttori di pace è anche l’obiettivo della campagna Un’altra difesa è possibile, la cui proposta di legge per la difesa civile non armata e nonviolenta è ora in attesa di discussione, calendarizzazione e approdo prima in Commissione e poi in Aula parlamentare. In essa si prevede il coinvolgimento dei giovani nella costruzione della pace attraverso il servizio civile universale, in quanto diritto per tutti coloro che vogliono farlo, come vera difesa civile del Paese con pari dignità – in termini “politici, tecnici, finanziari e di supporto logistico”, come esorta anche la risoluzione ONU – della difesa militare. Anche attraverso il coinvolgimento dei giovani volontari nei “corpi civili di pace”, che hanno esattamente il compito di prevenzione, mediazione e riconciliazione nei conflitti, vera alternativa alla guerra, ripudiata dalla Costituzione per la “risoluzione delle controversie internazionali”.

Mentre la risoluzione dell’ONU rafforza le ragioni della campagna “Un’altra difesa è possibile”, il governo italiano frena sia sul piano del servizio civile che su quello dei corpi civili di pace. E’ quanto emerso il 15 dicembre – Giornata nazionale dell’obiezione di coscienza e del servizio civile – dal seminario promosso dalla Conferenza nazionale degli Enti di servizio civile, la quale ha ricordato che “i fondi ordinari per il Servizio Civile Nazionale fermi nella Legge di Stabilità 2016, a poco più di 115 milioni, assommati allo stanziamento straordinario di 100 milioni con il decreto 185/2015, faranno partire nel 2016, ad oggi, alcune migliaia di giovani in meno che nel 2015. In questa situazione non solo si allontana il traguardo dei 100.000 giovani nel 2017 ma si impedisce anche alle organizzazioni accreditate di fare programmazioni pluriennali, uno dei passaggi essenziali per un Servizio Civile di qualità, di garanzia per i giovani e le istituzioni”.

Inoltre, già nel 2013, il Parlamento aveva finanziato nella legge di stabilità – grazie ad un emendamento dell’on. Marcon – l’avvio di progetti di servizio civile all’interno della sperimentazione di corpi civili di pace, provando a realizzare l’intuizione di Alex Langer. Ebbene – due anni dopo – è stato finalmente firmato in questi giorni il “prontuario” ma non è ancora uscito alcun avviso per la presentazione dei progetti. Il sotto-segretario Luigi Bobba si è impegnato nel dire che uscirà entro natale. Il Tavolo interventi civili di pace gli ha ricordato che “l’imminente avvio dei CCP (corpi civili di pace) è stato annunciato in una conferenza congiunta dei Ministeri del Lavoro e Politiche Sociali e degli Esteri a febbraio 2015, poi rinviato in diverse occasioni. Da parte delle istituzioni si riscontra invece” – segnala il Tavolo – “una particolare celerità nell’invio di armi, munizioni e uomini nei teatri di guerra (dall’Iraq all’Arabia Saudita), a fronte di 24 mesi di attesa per le procedure di bando dei CCP, che inizieranno il loro lavoro tra altri 6 o 7 mesi”

Insomma, mentre “l’emergenza umanitaria causata dai conflitti, gli attacchi del terrorismo internazionale, i contraccolpi dell’inefficace risposta militare, sono arrivati anche nel cuore d’Europa”, mentre le Nazioni Unite esortano gli Stati membri a fare leva sui giovani per la costruzione di politiche di pace e “l’associazionismo italiano è pronto per interventi alternativi, improntati alla costruzione della pace e all’azione nonviolenta, a sostegno della società civile in zone di conflitto”, con il coinvolgimento dei volontari civili, il governo italiano, inspiegabilmente, frena. Chi ha paura dell’impegno dei giovani per la pace?


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