Solidarietà & Volontariato

Il Servizio civile come formazione alla difesa civile, non armata e nonviolenta. Per tutti

di Pasquale Pugliese

Perché non è sufficiente formare i giovani alla difesa non armata ed alla costruzione della pace con mezzi pacifici se, a questi valori, non si forma anche la politica.  In attesa dei decreti attuativi sul Servizio Civile Universale della Legge di riforma del Terzo Settore e in preparazione degli Stati generali della difesa civile, non armata e nonviolenta  del 4 e 5 novembre a Trento, ecco qualche riflessione già pubblicata su benecomune.net

Il Servizio civile universale, come si configura nella legge di riforma del “Terzo settore“, è l’importante tappa intermedia di un percorso che viene da lontano, ma che non ha ancora raggiunto la sua meta, già indicata in Costituzione.

E’ un percorso che affonda le radici repubblicane nella lotta di Pietro Pinna, il primo obiettore di coscienza “politico” al servizio militare (che ci ha lasciati lo scorso 13 aprile all’età di 89 anni), e dei tanti obiettori che hanno conquistato – dalle patrie galere militari – prima la concessione e poi il diritto al Servizio civile nazionale. Ma i diritti non è sufficiente che siano riconosciuti sul piano normativo, perché siano effettivi è necessario che siano dotati dei mezzi che li rendano davvero praticabili da tutti. I quindici anni di legge 64 hanno mostrato la fragilità di un sistema che sul piano normativo proclama il diritto al Servizio civile e sul piano pratico, a fronte di alcune centinaia di migliaia di giovani che hanno svolto il servizio, dieci volte tanti sono stati rifiutati per mancanza di risorse. Oggi il Servizio civile universale si propone di superare questo iato tra il diritto di tutti i giovani a impegnarsi per il Paese e l’effettiva possibilità di farlo. Vedremo se sarà effettivamente così, se potrà contare su risorse certe e sufficienti o se continueranno ad essere risorse di risulta, come è stato in questi anni.

Del resto questo non è solo un tema di quantità, ma anche – e soprattutto – di qualità del servizio civile, che non riguarda solo i diritti dei giovani ma anche i diritti di tutti i cittadini alla “difesa non armata” del Paese. Infatti l’articolo 8 della legge 106/2016 ribadisce un concetto importante sull’identità del Servizio civile universale “finalizzato, ai sensi degli articoli 52, primo comma, e 11 della Costituzione, alla difesa non armata della patria e alla promozione dei valori fondativi della Repubblica”. Ossia, nel solco delle precedenti normative (L.230/98 e L. 64/2001) e delle ripetute sentenze della Corte Costituzionale, anche questa riforma ribadisce che la difesa del Paese cammina (dovrebbe camminare) su due gambe: la difesa miliare e la difesa civile, non armata e nonviolenta. Questo dato costituzionale è ormai acquisito sul piano dell’ordinamento legislativo, ma non è affatto acquisito sul piano della pari dignità tra i due sistemi di difesa del Paese: il primo, quello militare, fortemente finanziato (l’Italia è tra i primi 5 paesi in Europa e tra i primi 11 al mondo per spesa pubblica militare – fonte SIPRI) dotato di un Ministero dedicato, di una organizzazione articolata e capillare, di potenti infrastrutture, di centri di ricerca e formazione, di tremendi strumenti di offesa (come i famigerati F35); l’altro sistema di difesa, quello civile, è invece alla continua ricerca di risorse per poter avviare ogni anno alcune decine di migliaia di giovani, pur senza una vera organizzazione ispirata ad una effettiva “difesa non armata della Patria”, alternativa a quella militare.

Eppure la storia dell’obiezione di coscienza al servizio militare, prima, e del servizio civile nazionale dopo, hanno consentito un’importante apertura culturale dell’idea di “Patria”: non più i soli confini territoriali, ma i diritti civili e sociali dei cittadini come sanciti dalla Costituzione. Oggi il Servizio civile – se adeguatamente potenziato, all’interno di una adeguata organizzazione della difesa civile, non armata e nonviolenta – può rispondere ad un’idea di difesa più complessa, più adeguata e più efficace al panorama delle vere minacce dalle quali abbiamo bisogno di difenderci – povertà, precarietà sociale, mafie, dissesto idrogeologico, terremoti, analfabetismo funzionale, razzismo – che non hanno nessun nemico da abbattere violentemente con lo strumento militare. Questo risulta evidente ai volontari in servizio civile che – non a caso – le “linee guida per la formazione generale” chiamano “difensori civili della Patria”.

Seppur la maggior parte dei giovani oggi approda al servizio civile per rispondere ad una crescente domanda di occupazione e per mettere alla prova della realtà il personale percorso formativo, per loro il Servizio civile – se accompagnato da una coerente e proficua “formazione generale” – rappresenta anche la presa di coscienza del ruolo politico, sociale e culturale di questo Istituto repubblicano. Scoprono come nella quotidianità del loro impegno civile – per la convivenza, la solidarietà, l’educazione, la cultura, il sostegno a chi è rimasto indietro – non realizzino solo un nobile, ma generico, sentimento di pace, ma mettano in pratica azioni mirate all’autentica difesa dei diritti di tutti i cittadini.

Nonostante a fine servizio ai volontari civili questo risulti chiaro – soprattutto se sono stati aiutati da formatori che hanno promosso questo processo di “coscientizzazione” – l’abnorme squilibrio tra la spesa per la difesa militare e quella per la difesa civile continua a rispondere alla logica semplicistica che legge – di fatto – tutte le minacce alla luce del solo strumento militare e rende residuale l’impegno del Servizio civile. Per questo, per esempio, il Movimento Nonviolento, insieme a sei Reti della società civile (tra le quali CNESC e Forum Servizio Civile), ha promosso la campagna “Un’altra difesa è possibile”, con la proposta di legge, già depositata in Parlamento, per l’”Istituzione del Dipartimento della difesa civile, non armata e nonviolenta”, al cui interno dovrà trovare la giusta e coerente collocazione il Servizio civile universale, insieme ai Corpi civili di pace, all’Istituto di ricerca per la pace e il disarmo ed alla Protezione civile. Completando così il percorso costituzionale, avviato con il carcere di Pietro Pinna nel 1948. Perché non è sufficiente formare i giovani alla difesa non armata ed alla costruzione della pace con mezzi pacifici se, a questi valori, non si forma anche la politica.


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