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Il virus e i giovani, quel furto di futuro che viene da lontano

di Pasquale Pugliese

Che questo non fosse un Paese per giovani era già ampiamente noto, ci sono dati strutturali che lo raccontano da tempo: il nostro Paese – mentre è stabilmente tra le prime quattro potenze dell’Unione Europa in quanto a spesa pubblica militare (dati SIPRI) – è terzultimo in quanto ad occupazione giovanile, penultimo in quanto a numero di laureati ed ultimo in quanto ad investimenti per l’istruzione, in riferimento percentuale alla spesa pubblica (dati Eurostat). La crisi sistemica da covid-19 ha fatto esplodere queste contraddizioni, riversando su giovani e studenti uno dei prezzi più alti di questa pandemia. Non in termini di vite umane, ma di furto di futuro. Un furto che, appunto, viene da lontano.

Eppure i giovani di gran parte del mondo ci avevano avvisato che gli stavamo rubando il futuro e già durante lo scorso anno scolastico avevano svuotato le classi – seguendo l’esempio di Greta Thumberg – ed erano scesi in piazza per chiedere agli adulti di smetterla di violentare la Terra. Oggi che – oltre a saperlo in termini scientifici – abbiamo provato sulla nostra pelle quanto le pandemie siano direttamente legate alla distruzione degli ecosistemi, quanto il salto di specie dei virus dagli animali selvatici agli esseri umani sia direttamente correlato alle deforestazioni ed agli allevamenti intensivi; oggi che sappiamo quanto la diffusione dei virus sia agevolata dall’inquinamento atmosferico, le aule scolastiche sono vuote – nuovamente e permanentemente – non più per scelta ma per costrizione. E lo saranno ancora per molto: in Italia dopo oltre due mesi di quarantena sociale, man mano riprendono le attività produttive ma le scuole non è ancora certo quando e come riapriranno. Mentre le fabbriche di armi – per esempio – considerate “essenziali”, non hanno mai chiuso.

Ha fatto bene Matteo Lancini, psicologo presidente della Fondazione Minotauro di Milano a scrivere la Lettera agli adolescenti nella quale riconosce la responsabilità adulta in questo furto di futuro: “volevamo aiutarvi a far parte di un mondo che nel frattempo, senza neanche accorgercene, stavamo distruggendo a forza di disboscamenti, plastificazione e inquinamento atmosferico. Sempre sotto la nostra responsabilità vi abbiamo anche più volte detto che non avreste trovato lavoro, che sareste diventati più poveri di noi, e non era una minaccia, ma ci siamo proprio impegnati a fare in modo che diventasse realtà. Infatti, oggi, gli scienziati dell’economia confermano che ce l’abbiamo fatta…” Concludendo che “è possibile, anzi probabile, che voi siate in grado di gestire il pianeta e l’umanità in modo più responsabile e autorevole di quanto siamo riusciti a fare noi.”

Ed infatti – di fronte ad una scuola del tutto impreparata ad una repentina riconversione digitale – gli studenti si sono dimostrati, fin da subito, tra i cittadini più responsabili nell’affrontare la crisi epidemica, rispettando le norme, per loro estremamente penalizzanti, e – contemporaneamente – supportando gli insegnanti ad orientarsi nell’uso di tecnologie e piattaforme spesso sconosciute, e per l’uso delle quali sovente, invece, gli studenti erano stati in precedenza rimproverati e censurati. E poiché, mai come nei momenti di crisi emerge il divario economico e sociale tra le persone, che nello specifico diventa anche divario digitale, molti studenti – comprendendo intuitivamente l’ammonimento di Lorenzo Milani in “Lettera ad una professoressa” per il quale “non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali tra diseguali”- si sono spesso organizzati in maniera empatica e creativa nel supportarsi reciprocamente – seppur a distanza – nello studio, nello svolgimento dei compiti, nella preparazione delle verifiche e delle interrogazioni. Ben prima che cominciassero ad arrivare supporti tecnologici dallo Stato e dagli altri Enti pubblici e privati. Come un grande esperimento sociale nel quale l’apprendimento della cooperazione dal basso ha preso il sopravvento sul modello della competizione diffuso dall’alto nelle scuole italiane.

Nel frattempo – pur nelle nuove condizioni date – non si è fermato l’impegno giovani più consapevoli nel volontariato a beneficio delle persone più fragili, nel servizio civile dove è stato possibile riconvertire i progetti nel contrasto all’epidemia ed anche nella lotta per la salvaguardia dell’ecosistema. I ragazzi di #FridaysForFuture, per esempio, con la consapevolezza che “le crisi sono due, ma la soluzione è una sola”, costruendo un’alleanza con la comunità scientifica e le organizzazioni ecologiste, hanno lanciato la campagna Ritorno al Futuro per proporre quei cambiamenti necessari e strutturali per investire finalmente nella transizione ecologica dell’economia, per la giustizia climatica e sociale, per tutelare la salute il territorio e le comunità, per promuovere la democrazia, l’istruzione e la ricerca, per costruire l’Europa della riconversione e dei popoli. Perché – hanno scritto con lungimiranza nell’Appello all’Italia – “l’uscita dalla crisi sanitaria dovrà essere il momento per ripartire, e la transizione ecologica sarà il cuore e il cervello di questa rinascita: il punto di partenza per una rivoluzione del nostro intero sistema”.

I giovani avevano ragione prima ed hanno – ancora di più – ragione adesso. Stavolta ascoltiamoli, invece di continuare a rubare loro il futuro.


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