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L’indice di ignoranza come principio di azione politica. Tecnicamente

di Pasquale Pugliese

Tante paure arrivano nella nostra vita già con i loro rimedi,

prima ancora che i mali che essi promettono di curare

abbiano fatto in tempo a spaventarci”

Zygmunt Bauman, Paura liquida

L’Italia è da tempo ai primi posti nelle ricerche internazionali in quanto ad ”indice di ignoranza”, ossia nella distorsione della percezione collettiva dei dati della realtà, nella distanza tra i numeri reali dei fenomeni sociali e quelli che vengono immaginati dalla stragrande maggioranza dei cittadini. E’ un indice comparativo rilevato periodicamente, per esempio, dall’Istituto Ipsos Mori nella cui ultima ricerca sui “pericoli della percezione” (2018) eravamo al primo posto in Europa e dodicesimi al mondo in quanto a distorsione percettiva. Tra i principali dati analizzati dalle ricerche c’è la differenza tra il calo reale degli omicidi in Italia negli ultimi quindici anni del trenta per cento e, viceversa, la percezione pubblica di un loro aumento, con la conseguente diffusione del senso di insicurezza e paura, anche alimentato dalle fake news sui social. Se poi allarghiamo l’orizzonte temporale, il picco di omicidi rilevato dall’ISTAT nel nostro paese è nel 1991 con circa 2000 omicidi (ed altrettanto tentati), dopodiché c’è stato un calo progressivo, anno dopo anno, fino ad arrivare ai 271 morti ammazzati del 2020. Con un trend analogo di caduta per tutti i reati violenti.

A proposito di questo fenomeno, Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos Italia, nel suo libro “Dare i numeri. Le percezioni sbagliate sulla realtà sociale”, parla di “scollamento rispetto alla realtà che può fare comodo a chi, in politica, cavalca l’allarmismo sociale ai fini del consenso e ai mezzi di informazione, orientati ad aumentare lettori e ascoltatori facendo leva su notizie eclatanti (…) Il dominio delle percezioni ci rende prigionieri dei nostri pregiudizi e orienta i nostri atteggiamenti e i nostri comportamenti. E ciò vale per tutto ciò con cui entriamo in contatto nel mondo contemporaneo, dai fenomeni più vicini a quelli apparentemente più distanti. Dalle scelte riguardanti i nostri consumi a quelle politiche. Il pericolo delle percezioni interpella tutti, i singoli cittadini, il sistema dell’informazione e la politica. (…) E cavalcare gli allarmi sociali rappresenta un facile espediente per aumentare il consenso politico, una sorta di doping”

Stupisce e inquieta, dunque, che il presidente del consiglio “tecnico” Mario Draghi, il cui consenso politico in Parlamento non ha eguali – comunicatore sobrio ed attento all’uso della parole – abbia fatto esplicitamente ricorso a questo facile espediente, a questo doping, come principio guida della sua azione politica in fatto di criminalità. Nell’intervento di replica alla Camera dei Deputati del 18 febbraio, Draghi pronuncia queste incredibili parole: “Sulla criminalità solo un’osservazione: è vero che i dati quantitativi sulla criminalità nel corso degli anni sono andati migliorando, ma la percezione che ne hanno i cittadini no. Deve essere la percezione a guidare l’azione, a stimolare un’azione sempre più efficace”. Ossia l’indice di ignoranza diventa principio guida dell’azione politica entrando – senza la retorica securitaria alla quale ci ha abituato la politica, ma spiegato bene – nel meccanismo di alimentazione dell’insicurezza e della paura. Anziché della loro decostruzione educativa e culturale. Tecnicamente


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