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Essere o non essere. Riproducibilità di Hiroshima e Nagasaki in un pianeta in fiamme

di Pasquale Pugliese

Il 6 agosto 1945 è il giorno zero. Poiché quel giorno è stato provato che la storia universale può anche non continuare, che siamo in grado di recidere il filo della storia. Una nuova era, anche se la sua essenza consiste nell’avere un’esistenza incerta.

[Günther Anders, Essere o non essere. Diario di Hiroshima e Nagasaki]

E’ uno dei più pericolosi dei settantasette precedenti, questo anniversario dello sgancio delle bombe atomiche statunitensi su Hiroshima e Nagasaki, che cade in un pianeta in fiamme e non solo per il riscaldamento globale. Nonostante il Bollettino degli scienziati atomici mantenga ormai da tre anni le lancette dell’orologio dell’apocalisse a soli cento secondi dalla mezzanotte nucleare, dopo il 1989 e l’abbattimento del muro di Berlino avevamo rimosso il pericolo atomico militare dalla coscienza individuale e collettiva. Pure sempre più – apparentemente – sensibile alla catastrofe ecologica in corso. Parimenti dai diversi mondi culturali sono stati rimossi anche i pensatori che avevano fatto della riflessione sullo stare al mondo al tempo della bomba atomica l’essenza della propria filosofia, denunciandone la vera “minaccia totalitaria”, il suo essere “non arma ma nemico” dell’umanità, come Günther Anders di cui quest’anno è caduto in sordina il 120°anniversario della nascita (12 luglio), come avverrà per il 30° della morte (17 dicembre).

Si è incaricata prima la guerra in Ucraina di riportarci all’amara realtà, con la nuova minaccia di uso delle armi atomiche all’interno di un conflitto armato che vede nel martoriato territorio ucraino il confronto tra le massime potenze nucleari Russia ed USA e poi – come se non bastasse – l’incredibile escalation della tensione diplomatica e militare tra USA e Cina, intorno allo status controverso dell’isola di Taiwan. Minacce aggravate dal perfezionamento delle cosiddette atomiche tattiche, ossia le testate nucleari più “piccole” e “maneggiabili” di quelle strategiche. E dunque “utilizzabili”, tra le circa 13.000 testate atomiche complessive di ultimissima generazione puntate ed operative contro le teste di tutti. Del resto – come ribadisce anche Luca Ciarrocca nel recente e documentato La terza guerra mondiale (chiarelettere, 2022) – “si è comunque ormai sviluppata una mentalità secondo cui i vasti arsenali militari non sono solo il deterrente finale, come è stato per i lunghi decenni della Guerra fredda, ma armi che potrebbero essere usate per vincere conflitti <<limitati>>. E questa è una spirale di morte da cui non si scappa. <<Limitati>> significa infatti che il devastante effetto di una piccola testata militare a bassa potenza come la W76-2 sarebbe inferiore, ma non di molto, a quella di Hiroshima, dove il 6 agosto 1945 la famigerata bomba atomica <<Little Boy>> provocò all’istante tra i 90.000 e i 150.000 morti, senza contare le migliaia di vittime che nel corso degli anni persero la vita per le radiazioni”.

Ricordare il 6 e il 9 agosto lo sganciamento delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, dunque, non è – non può essere – la celebrazione di un irripetibile evento storico passato ma rappresenta – deve rappresentare – la presa di coscienza dello stato presente del mondo. Della sua riproducibilità: “il 6 agosto 1945, giorno di Hiroshima” – scrive Anders – “è cominciata una nuova era: l’era in cui possiamo trasformare in qualunque momento ogni luogo, anzi la terra intera, in un’altra Hiroshima”. Se questa possibilità è ormai irreversibile sul piano dell’acquisizione delle competenze tecnologiche, è invece modificabile attraverso l’acquisizione delle competenze etiche che consentano di imboccare l’unica uscita di sicurezza accessibile: la cancellazione delle armi nucleari dalla faccia della terra, la loro definitiva proibizione. Si tratta di superare ciò che Anders chiama lo “scarto prometeico”, ossia la frattura che passa tra l’infinita capacità produttiva di distruzione e la nostra capacità immaginativa delle conseguenze.

Si tratta di declinare il piano etico del dover essere sul piano politico della possibilità di essere ancora, in un pianeta nel quale la crisi sistemica globale moltiplica i conflitti, dando un’ulteriore chance all’umanità attraverso precise scelte di disarmo, come l’adesione al Trattato internazionale per la messa al bando delle armi nucleari. Trattato ONU già in vigore da oltre un anno, rispetto al quale le testate atomiche sono già illegali, ma non sottoscritto né dai nove governi apprendisti stregoni dei paesi atomici (USA, Russia, Cina, India, Pakistan, Gran Bretagna, Francia, Israele, Corea del Nord) né dai governi dei paesi che “ospitano” testate altrui. Come l’Italia che “custodisce” tra le basi militari di Ghedi (Brescia) ed Aviano (Pordenone) diverse decine di testate atomiche statunitensi, facendo così della pianura padana il primario obiettivo di un possibile attacco nucleare su territorio europeo. Preparandone il non essere.

Essere o non essere è il titolo del diario di Hiroshima e Nagasaki di Günther Anders, il racconto del suo pellegrinaggio nei luoghi della catastrofe giapponese voluta dal governo degli Stati Uniti, non per chiudere la seconda guerra mondiale ma per aprire la terza, dando l’avvio alla folle corsa agli armamenti. Tuttora pienamente in corso. Un diario da rileggere oggi, a cinquantun anni dalla sua stesura quando – nel 1961 – l’orologio dell’apocalisse segnava sette minuti dalla mezzanotte. Un tempo eterno rispetto ai soli cento secondi di oggi. Sempre più prossimi al definitivo non essere. Se non diamo un’ultima possibilità all’essere.


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