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Nicolò Fagioli, il racconto pubblico del disturbo da gioco d’azzardo è una vittoria a metà

Nel 2022 in Italia sono stati puntati 136 miliardi di euro sui tavoli da gioco. «Il gioco d’azzardo ha una crescita inarrestabile», dice il dottor Paolo Jarre, uno dei massimi esperti italiani in disturbo da gioco d'azzardo. È lui che sta accompagnando il centrocampista della Juve Fagioli nel suo percorso riabilitativo: «Una persona famosa che chiede aiuto può essere uno sprono per tutti quelli che si vergognano di fare outing. L’aspetto più critico è che tutta questa esposizione potrebbe indurre soprattutto i giovani a pensare “vabbè se lo fa Fagioli perché non posso farlo io?”»

I numeri sono dati sintetici che da soli non possono descrivere la drammaticità di un fenomeno. Ma quelli sul gioco d’azzardo in Italia tracciano una direzione precisa che spiega dove il Paese sta andando quando parliamo di disturbo da gioco d’azzardo .  «Secondo i dati forniti a gennaio 2024 dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli nel 2022», come sottolinea l’associazione Avviso Pubblico, «l’Italia ha  segnato un nuovo record con oltre 136 miliardi di euro puntati sul tavolo da gioco. Un incremento  pari al 22,4% rispetto all’anno precedente, quando gli italiani avevano giocato 111,7 miliardi di euro. Per farci un’idea è come se ogni cittadino maggiorenne avesse giocato nel solo anno 2022 una cifra pari a 2.730 euro. Una spesa che è salita di quasi 15 miliardi nel 2023. La tendenza è quella di un incremento della raccolta dopo la flessione determinata dalle chiusure  imposte dalla pandemia del 2020. Negli ultimi anni è però cambiata la composizione della raccolta: se fino all’anno 2019 a primeggiare era la raccolta su rete fisica, dal 2020 ad oggi la tendenza si è invertita con la raccolta di  gioco a distanza che ha superato quella fisica, toccando l’apice dell’incidenza nell’anno 2021».

«Il gioco d’azzardo ha una crescita inarrestabile», dice il dottor Paolo Jarre, già direttore del dipartimento “Patologia delle Dipendenze” dell’Asl To3 Torino. Jarre è uno dei massimi esperti italiani sulle tematiche legate all’azzardo patologico, ed è lui che sta seguendo il centrocampista della Juve Nicolò Fagioli, 23 anni, nel suo percorso di recupero. Ad ottobre del 2023 il giocatore ha chiuso in anticipo la stagione calcistica dopo la notizia del suo coinvolgimento in un giro di scommesse sportive illegali su incontri organizzati da Figc, Uefa e Fifa, proibiti ai calciatori professionisti. Fagioli si era già autodenunciato presso la Procura Federale della Figc fin dal precedente agosto. Si è dimostrato collaborativo nelle indagini e disponibile a curare il disturbo da gioco d’azzardo. Evita così il deferimento e ottiene un accordo con la Procura Federale: il 17 ottobre il calciatore riceve una squalifica di 12 mesi, di cui sette effettivi e cinque commutati in altre prescrizioni, oltre a un’ammenda di 12.500 euro. Il prossimo 19 maggio scadrà il periodo di squalifica.

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Jarre ci può fare una fotografia dell’Italia oggi rispetto alla dipendenza dal gioco d’azzardo? Quanto è presente questo fenomeno e quanto abbiamo fatto finta o ancora fingiamo di non vederlo? 

Nell’ultimo ventennio il gioco d’azzardo è sempre in crescita, c’è stata una piccola contrazione nel 2020, ma questa non ha influito sull’andamento della curva. Io questa crescita la definisco inarrestabile, basti pensare che le somme giocate hanno superato quelle del Servizio sanitario nazionale.

Da dove nasce questa dipendenza?

Alla base c’è sicuramente una vulnerabilità personale. Ma in almeno tre quarti dei giocatori che poi si trasformano in giocatori patologici questa vulnerabilità personale non è poi così significativa, quindi non può essere considerata determinante. Il comportamento patologico dipende in larga parte quindi dalla pressione dell’offerta. Oggi in Italia ci sono 800mila giocatori patologici, 15 anni fa erano 200mila. Le 600mila persone in più che si sono ammalate non sono tutte nate significativamente “vulnerabili”.

Possiamo fare un identikit del giocatore?

Come tutti i comportamenti rischiosi c’è una prevalenza del genere maschile. Ma fra i giovanissimi questa prevalenza è nettamente minore. D’altronde sappiamo che alcuni comportamenti a rischio nelle ragazze sono addirittura più frequenti che nei loro coetanei maschi, ad esempio dipendenza da tabacco o l’assunzione di psicofarmaci senza prescrizione.  Altro fattore ricorrente è l’appartenenza a un livello socio economico e culturale medio basso. Questo fattore non è determinante tanto nell’insorgenza della patologia, ma nel determinare peggiori decorso ed esito della dipendenza. 

L’età media dei giocatori patologici continua ad abbassarsi, possiamo individuarne le cause?

Le cause sono molte. Tra i fattori di rischio sicuramente i perfezionamenti delle tecnologie e il fatto che anche ragazzini delle elementari e medie possono avere  “internet in tasca”. Altro fattore di rischio è la sovrapposizione sempre maggiore tra modalità di funzionamento dei videogiochi e azzardo. Poi aggiungendo la permanenza in casa per lunghi periodi durante i mesi del lockdown si ottiene una miscela esplosiva. Già a 14 anni quasi la metà dei ragazzi dichiarano di aver giocato denaro almeno una volta l’anno precedente (Studio ESPAD 2023), nonostante qualsiasi tipo di gioco d’azzardo sia vietato ai minori. 

Lei sta seguendo il caso di Nicolò Fagioli, centrocampista della Juventus. Ecco nell’immaginario collettivo la vita di un calciatore è una “vita di successo”. Il fatto che la dipendenza di un personaggio pubblico sia diventata appunto nota può in qualche modo aiutare i malati a farsi avanti?

Ci sono sia aspetti positivi che negativi nel fatto che la storia di Fagioli sia diventata di dominio pubblico. Una persona giovane, famosa, ricca e bella che chiede aiuto è a sua volta uno sprone per tutti quei giocatori che hanno paura, si vergognano e non riescono a fare outing rispetto al problema. L’aspetto invece sostanzialmente più critico è che tutta questa esposizione potrebbe indurre, soprattutto i giovani, a pensare “vabbè se lo fa anche Fagioli perché non posso farlo io”. Il rischio è che ci si deresponsabilizzi rispetto al proprio comportamento, che è quello che può succedere quando si iscrive questo tipo di comportamento nel paradigma della malattia. È vero che il gioco d’azzardo è una malattia, ma è una malattia in cui ci sono anche responsabilità individuali. Tra qualche settimana per Fagioli scadrà il periodo di squalifica, non finirà certamente la cura. Ed anche riconoscere e ricordarci della fragilità che ci ha portato a quella dipendenza, riconoscerla, fa parte del percorso.


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Si è occupato della migliore legge regionale che ha portato una diminuzione del gioco d’azzardo in Piemonte. Che dimostra che quando si lavora in sinergia i risultati arrivano. Ci vuole raccontare quell’esperienza?

In quella legge quello che ha funzionato di più è stata la restrizione dell’offerta, poi è stata abrogata e infatti il gioco è tornato a crescere. C’è poco da fare: bisogna fare in modo che la filiera commerciale incassi meno soldi. 

Come si riducono gli incassi?

Restringendo gli orari in cui è possibile giocare. Diminuendo la capillarità dell’offerta e mettendo delle distanze significative fra quei luoghi e quelli di vita abituale. Quindi lontano da abitazioni, scuole, uffici. La mia proposta è quella di mettere tutta l’offerta solo all’interno di locali dedicati e toglierla da tutti gli esercizi generalisti. 

Abbiamo dedicato un’inchiesta al consumo di sostanze, in particolare da parte dei giovani, nel numero di VITA magazine “Droga, apriamo gli occhi”. Se sei abbonata o abbonato a VITA puoi leggerlo subito da qui.
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Credit foto: Marco Alpozzi/LaPresse


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