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Concordia: una parola per l’anno che sta per terminare

di Marco Sessa

Se dovessi cercare una parola che in qualche modo rappresenta l’anno che sta per terminare, questa direi che sia Concordia (secondo il vocabolario Treccani, Concordia: Conformità di sentimenti, di voleri, di opinioni fra due o più persone, per lo più non disgiunta da reciproco affetto).

Il primo pensiero è senz’altro per la drammatica tragedia di Lampedusa e più in generale di tutti le persone che cercano un’alternativa alla loro vita che a mi ha ricordato come alle fondamenta di ogni singola esistenza vi sia la ricerca di un’armonia d’intenti , una concordia appunto, che è alla base di una comune sussistenza.

Di seguito senz’altro Papa Francesco che sta cercando di ritrovare una concordia tra le vicende del Vaticano e la Cristianità. Un percorso iniziato probabilmente con il Concilio II ma che negli ultimi anni aveva subìto un arresto anche a seguito delle vicende legate allo IOR e alla pedofilia.

Come ho avuto modo già di scrivere su questo blog, un altro avvenimento straordinario dell’anno è stato il recupero della nave da crociera Costa Concordia. E’ stato un lavoro con tutti gli elementi italici: intelligenza, competenza, ingegno, fantasia, audacia e fortuna. Era dai mondiali del 2006 che gli Italiani non si ritrovavano così uniti, riscattati da un orgoglio ferito per i gesti di un singolo e fieri di essere italiani (C’è stata la parentesi delle celebrazioni per i 150 anni dell’unificazione dell’Italia ma purtroppo in pochi ci hanno davvero creduto), in concordia appunto tra loro.

E infine ho trovato drammaticamente straordinario il gesto compiuto proprio ieri (9 dicembre 2013)  in occasione delle manifestazioni del cosiddetto ‘movimento dei forconi’, in alcune delle quali, alla fine di una mattinata di scontri tra manifestanti e le forze dell’ordine, queste ultime si sono tolte il casco e hanno salutato i dimostranti condividendo lo stesso disagio manifestato. Una eccezionale manifestazione di concordia nell’esprimere di un fortissimo disagio sociale.

E’ difficile capire quale sia una possibile soluzione per lasciarci alle spalle questo momento storico così povero in termini culturali ed economici. Ci sarebbe bisogno di un rilancio, di uno stimolo che ci permetta di uscire dal pozzo e di rivedere la luce. Probabilmente già l’espressione di una necessità di cambiamento è l’inizio di una possibile cura. Forse potremmo cominciare a passare dal perenne ‘scontro’ verso il prossimo, ad una maggiore conoscenza di sé e del contesto storico sociale, cercando un’armonia tra i diversi (propri) sentimenti in relazione alla società che ci circonda e quindi ponendoci come individui attivi, consapevoli dei (propri) limiti senza avere come unico obiettivo la perfezione assoluta. Trovare concordia con se stessi permette, tra l’altro, di evitare di essere sottomessi al pensiero dominante che impone un benessere legato all’immagine che gli altri hanno di ognuno di noi. Chiunque starebbe bene con il proprio corpo, se non fosse costretto a confrontarsi con il modello prevalente che dice di ascoltare il giudizio altrui sul proprio corpo e quindi cambiarlo.

Questo vuole dire dare dignità alla disabilità, trasformando la mancanza, la necessità in consapevolezza, accettazione. Passando  insomma dalla Domanda alla Risposta.

Viviamo in una società dove la malattia è sempre trattata in senso negativo invece che considerarla come una possibile condizione dell’esistenza stessa, perché la malattia spesso porta con sé il concetto di morte. Fa molta paura è da combattere.

Non è un lavoro facile in un momento storico come questo ma credo sia opportuno partire proprio da qua poiché la società non è altro che la proiezione di quello che noi altri siamo .


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