Economia & Impresa sociale 

Ingegnerizzare la dipendenza

di Marcello Esposito

Inauguro questo blog con la recensione del libro Addiction by Design (“Ingegnerizzare la dipendenza”) di N. Schull, antropologa di formazione e professore associato al M.I.T di Boston. Per scrivere questa recensione ho sintetizzato l’intervista all’autrice di Peter Dizikes, scritta per MITnews il 4 settembre 2012, e disponibile in originale all’indirizzo web.mit.edu/newsoffice/2012/understanding-gambling-addiction-0904.html. Intervista che si chiude con queste parole della Schull: “giocare alle slot non è come comprare il biglietto del cinema o fare shopping e poi tornare a casa. E’ uno spendere continuo, rapido dove le persone perdono coscienza del tempo e dello spazio, e la loro capacità di prendere decisioni scivola via durante l’esperienza … Data la natura di questo prodotto e di questa interfaccia, non dovrebbero i politici e i legislatori capire meglio come questo prodotto influenza le persone?” Ed aggiunge “Io penso che il mio lavoro sia parte di un dibattito che finalmente sta nascendo”.

Il libro della Schull rappresenta il culmine di un lungo processo di ricerca, iniziato nei primi anni ’90, con una tesi di laurea sul modo con cui l’architettura dei casinò è studiata per incoraggiare i clienti a giocare e scommettere di più. Alla fine degli anni ’90, l’autrice si è trasferita a Las Vegas per condurre ricerche sui giocatori patologici, intervistando un gran numero di ludopatici e di esponenti dell’industria delle slot. Ha lavorato anche in un programma di trattamento di dipendenza da gioco.

Per i giocatori patologici, la questione non è vincere o perdere ma è quanto a lungo poter continuare a giocare

La Schull si concentra sui giocatori delle slot – non i giocatori di giochi da tavolo, come il poker, che interagiscono con altre persone, ma i giocatori che giocano in solitudine ai terminali elettronici delle slot-machine. E’ probabile che pensando ad un ludopatico si immagini una persona che tenta la fortuna per vincere una grossa somma di denaro. In realtà, dietro all’ossessione per il gioco ci sono motivazioni molto diverse. Per esempio, una madre, impiegata presso un hotel di Las Vegas, giocava compulsivamente a videopoker, esaurendo regolarmente il suo stipendio mensile in due giorni. Non essendo sufficiente lo stipendio, aveva incassato anticipatamente la sua polizza vita per giocare più soldi. “La cosa che la gente non capisce è che io non gioco per vincere” confessò alla Schull. Lo scopo è quello di “continuare a giocare – rimanere nell’isolamento della slot, dove nient’altro conta”.

Parlare con i ludopatici, la Schull nota, fornisce una “intuizione profonda” del fenomeno della dipendenza da gioco. “Non c’erano creduloni. Non c’è stato un singolo giocatore che abbia provato mai a dirmi: io ho il sistema, io ho capito come battere la macchina. Erano persone sfinite, ma assolutamente consapevoli che non si sedevano davanti alle slot per vincere”.

Un ludopatico confessò alla Schull “potrei dire che per me la slot è un’amante, un’amica, un appuntamento, ma in realtà non è niente di tutto ciò: è un aspiratore che succhia via la vita da me e che succhia me via dalla vita”.

Tutti noi abbiamo sperimentato “l’estraniamento” … ma pochi ci vivono dentro.

“L’esperienza di essere isolati l’abbiamo provata tutti, sia che sia stata causata dalla partecipazione ad una asta su eBay sia che sia stata causata quando, seduti in treno, abbiamo giocato compulsivamente con il telefonino” sostiene la Schull. Nei ludopatici il fenomeno si estremizza e i dati lo confermano. Il “disturbo del controllo dell’azzardo”, come l’American Psychiatric Association ora definisce la ludopatia, sembra affliggere circa l’1-2%  della popolazione statunitense. Ma, come la Schull nota nel suo libro, i ludopatici generano il 30-60% del fatturato dell’industria delle slot.

Per la Schull questo aspetto del gioco d’azzardo (cioè che per i ludopatici non è questione di vincere denaro ma di fuggire e “isolarsi”) è quello che ha ingannato i politici e l’opinione pubblica: “è un vero blocco mentale da superare … tutti noi pensiamo che il danno sia quanto denaro viene buttato via e che ciò che guida i giocatori patologici sia il desiderio di far soldi. Ma … “l’estraniamento” è ciò che guida veramente la loro esperienza al gioco. L’idea di vincere denaro si frantuma e scompare quando arrivi al punto della dipendenza dal gioco”.

Il ruolo della tecnologia

Come è chiaro sin dal titolo del suo libero (Ingegnerizzare la Dipendenza), per la Schull il modo in cui l’industria del gioco d’azzardo ha messo in campo tecnologie sofisticate per creare macchine elettroniche sempre più coinvolgenti per i giocatori ha contribuito enormemente ad aumentare il rischio di sviluppare forme di gioco problematico e compulsivo. Per questo nel libro si distingue tra “gambling” e “machine-gambling”.

Le slot più moderne, per esempio, consegnano un flusso frequente di piccole vincite, invece che pochi grossi jackpot. Perché? La ragione è che dopo essersi immersi nell’esperienza di gioco delle slot machine, molti giocatori assomigliano ad una ludopatica che la Schull studiò a lungo e che “si arrabbiava quando vinceva, perché ci voleva un po’ di tempo perché il jackpot salisse, così lei doveva starsene seduta ad aspettare ed il flusso di gioco si interrompeva”. La Schull dice che “è il flusso dell’esperienza di gioco quello che le persone ricercano. Il denaro per loro è un mezzo per stare seduti più a lungo, non il fine. Le persone non vogliono vincere il jackpot e andare via. Le persone vogliono vincere il jackpot e rimanere seduti fino a quando non se lo sono giocato tutto”.

Di coloro che lavorano per l’industria dell’azzardo la Schull dice: “Ci sono persone molto intelligenti focalizzate sugli aspetti tecnologici, ma non pensano alle conseguenze più ampie di quello che stanno facendo”. Aggiunge: “Nessuno di loro si siede alla scrivania, pensando a come rendere dipendenti i giocatori. Loro pensano a come aumentare i profitti … e come possono, cercano di isolarsi eticamente dal risultato delle loro azioni”.


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