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Economia & Impresa sociale 

La peggiore risposta sarebbe sacrificare la libertà

di Marcello Esposito

La peggiore risposta che possiamo dare agli attentati di Parigi è quella di rinunciare alle nostre libertà. Rinunciare a Schengen, regalare la nostra privacy alle multinazionali del web (chiedendo loro “aiuto” come qualcuno sta suggerendo sulla stampa), consentire l’accesso a tutti i nostri dati sensibili da parte dei servizi di intelligence fuori dalla normativa vigente e senza la supervisione delle autorità giudiziarie. Sarebbe paradossale dopo che milioni di cittadini sono scesi domenica in piazza proprio per difendere la libertà e i diritti fondamentali che l’Europa ha conquistato nei secoli e a carissimo prezzo. Le misure di controllo vanno rese più “smart”, è ovvio. Ma i controlli devono sempre essere effettuati sotto la supervisione dell’autorità giudiziaria, in un quadro normativo definito e devono avere ad oggetto informazioni “utili”. Una cosa è tracciare con il Pnr gli spostamenti aerei delle persone in Europa (ad essere sincero pensavo che venisse già fatto, visto che in aeroporto si perde una marea di tempo a farsi identificare ai banchi del check-in e poi in fila ai metal detector), un’altra cosa è acquisire dati sullo stato di salute o le abitudini alimentari. Si leggeva sui giornali la tesi, piuttosto allucinante ma significativa di dove si può andare a finire imboccando certe strade apparentemente innocue, che dalle preferenze alimentari espresse dal passeggero se ne può determinare la religione e quindi la potenziale “pericolosità”. Gli unici passeggeri che sui voli intercontinentali ho visto esprimere forti preferenze alimentari sono gli indiani e … i vegani. Gli attentatori delle Torri Gemelle pare non disdegnassero i vizi occidentali e di sicuro non erano in cattiva salute. Tra l’altro, forse sui voli di Stato si mangia ancora qualcosa, ma sui voli di linea europei va di lusso se ti danno una bottiglietta d’acqua e le noccioline. Tornando a cose serie, si leggeva sui giornali della richiesta di aiuto alle multinazionali del web o di un gruppo di hackers che sarebbe pronto a fare attività di intelligence contro i terroristi. Queste iniziative sono comprensibili ed è meritorio il tentativo di privati cittadini di dare un contributo. Ma dobbiamo essere consapevoli che nell’era di Internet la nostra persona ha anche una dimensione digitale. Come non vogliamo che l’ordine pubblico nella realtà fisica sia garantito da “ronde” di privati cittadini, lo stesso deve valere per la realtà fisica. Una cosa è venire a conoscenza di un reato e denunciarlo alla polizia. Un’altra cosa è sostituirsi alla polizia. Allo stesso modo, le multinazionali del web dovrebbero utilizzare le informazioni che hanno sulla nostra persona (e che non sono necessarie per il tipo di servizio offerto) solo e soltanto su richiesta dell’autorità giudiziaria competente. Nel caso di un cittadino italiano, residente in Italia, la autorità competente è quella italiana, non è quella americana o francese. Se l’autorità giudiziaria estera vuole accedere alle mie informazioni personali presso Facebook o alla mia carta di credito dovrebbe prima fare una richiesta in tal senso all’autorità giudiziaria italiana e concordare tempi e modi dell’indagine e dell’utilizzo dei dati. Di sicuro, non può essere delegata ad un’azienda privata un’attività di intelligence, da svolgere magari attraverso algoritmi. Lo scandalo Sismi-Telecom dovrebbe essere sempre ben presente nella nostra memoria. Infine, ricordiamoci del significato delle parole. La perdita temporanea dei diritti e delle libertà si giustifica nelle democrazie occidentali solo con lo stato di guerra. Ma noi crediamo veramente, come un noto columnist del Corriere della Sera ha scritto invece oggi, che l’Europa sia in guerra e che la guerra si stia combattendo hic et nunc? E il columnist non intende la guerra “culturale” con l’Islam (il cui senso andrebbe prima o poi spiegato) ma anche quella classica, “militare”. Impariamo a distinguere. La guerra è una cosa e il terrorismo un’altra. Sono cose completamente diverse, che vanno combattute con armi e metodi diversi. Non ripetiamo gli errori della Presidenza Bush Jr e, soprattutto, non aggiungiamo l’errore di sacrificare, anche solo parzialmente, le nostre libertà.


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