Economia & Impresa sociale 

La Libia non è un videogame

di Marcello Esposito

Spero che nessuno stia pensando seriamente di far partire una campagna militare in Libia guidata e organizzata dall’Italia, sotto l’egida dell’ONU o della NATO. Non perché io sia un pacifista, anzi. Ma, se il Presidente Obama tentenna di fronte all’invio di truppe di terra in Iraq, a chi può venire in mente di mandare il nostro esercito in Libia? O chi può anche solo pensare che la nostra aviazione e marina si mettano a bombardare le squadre dell’Isis, sparse per il deserto e infiltrate nelle città? E’ di oggi la notizia di un gruppetto di scafisti libici si è fatto riconsegnare manu militari il barcone sequestrato da una motovedetta italiana, dopo che questa ha portato a bordo i migranti.

Si badi bene, questa avversione all’intervento militare non è perché non ritenga importante aiutare un paese vicino a ritrovare una condizione di pace. Ma perché non ho la minima fiducia nella capacità dell’Italia (governo, ministri, esercito, partiti, opinione pubblica) di gestire una campagna militare, brutale e sanguinosa. Ci rendiamo conto di cosa voglia dire intervenire militarmente in un paese allo sbando, in preda alla guerra civile, attraversato da conflitti etnico-tribali e con la presenza delle forme più estreme e pericolose del terrorismo islamico? Che cosa faremmo di fronte a decine di militari italiani che tornano, come i marines americani, avvolti nel tricolore? Come reagiremmo ai massacri di civili causati da qualche bomba “intelligente”? Gli incidenti e i morti in guerra ci sono. Non è un videogame.

L’Italia può farsi parte attiva nel promuovere una coalizione internazionale. Ma la coalizione, al di là dell’egida dell’ONU o della NATO, deve essere guidata da paesi (cioè, gli USA e l’Inghilterra) con un esercito, con una classe dirigente e con una opinione pubblica all’altezza delle sfide e delle incognite che un intervento in Libia presenta. Forniamo pure supporto logistico, copertura aerea, ricognizione, forze di polizia, etc etc. E, se proprio vogliamo dare una mano anche alla prima linea di terra, forniamo i nostri reparti di elite. Ma, per favore, che a nessuno venga in mente di affidare all’Italia una campagna militare in “solitaria”, sotto l’egida dell’ONU o di chicchessia. Il rischio di dover andare a chiedere in ginocchio agli USA di venirci a salvare in mezzo al deserto libico è quasi una certezza. Abbiamo già accumulato epiche sconfitte in passato, e quelle subite in Libia una settantina di anni fa dovrebbero far da monito. Evitiamocene di nuove.


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