Sostenibilità ambientale
Città e fiumi, un’alleanza da ricostruire contro la crisi climatica
Dopo oltre un secolo, la Senna torna balneabile e Parigi diventa simbolo di una tendenza urbana diffusa: riscoprire i fiumi come risorsa vitale. In tutta Europa, sempre più città stanno restituendo i corsi d’acqua alla vita quotidiana delle città anche come risposta alla crisi climatica. L’architetto Gaetano De Francesco sottolinea: «Non dobbiamo più pensare a città contro l’acqua, ma a città con l’acqua»

Dopo oltre un secolo, la Senna torna balneabile. È questa la notizia giunta da Parigi nel fine settimana. Tre ampi tratti del fiume, all’interno della città, sono stati ufficialmente destinati alla balneazione pubblica, sull’onda dell’esperienza olimpica.
Le immagini di turisti e parigini in fila per un tuffo rinfrescante, in questa estate rovente, ci ricordano una verità spesso dimenticata: quasi ogni città, comprese quelle italiane, ha un fiume che la attraversa. E in molte capitali europee, da decenni, si lavora per restituire i corsi d’acqua alla vita urbana. Ricorda Davide Agazzi, esperto di sviluppo locale e co-fondatore di From, società che supporta la trasformazione urbana con strategie creative e inclusive: «Da Berlino a Parigi, da Amsterdam a Copenaghen, sempre più città stanno riscoprendo i propri fiumi. O meglio: stanno tornando a viverli. Nuotandoci dentro».
Le città e i fiumi: una relazione da ricucire
Quella tra le città e i loro fiumi è una relazione antica, ma segnata da profonde discontinuità. Per secoli, i corsi d’acqua sono stati il cuore pulsante dell’economia urbana, vie di scambio e fonti d’energia. Poi, con la rivoluzione industriale, il fiume è diventato una discarica: acque nere, scarichi industriali, detriti tossici. La paura dell’inquinamento e delle esondazioni ha spinto le città a dimenticarsi dell’acqua che l’attraversava e a imbrigliarla in muraglioni, cementificandone le sponde, relegandolo l’acqua ai margini della vita urbana. Oggi, invece, complice la crisi climatica e la necessità di immaginare un modello urbano più flessibile, quel rapporto si sta ricucendo.
«Il tema dell’acqua nelle città è cruciale per affrontare i cambiamenti climatici», spiega l’architetto Gaetano De Francesco che dal 2012 porta avanti, per il Dipartimento di architettura e progetto dell’Università degli studi di Roma La Sapienza, ricerche sul tema dell’infrastrutture dell’acqua e nel 2020 ha pubblicato la monografia: Architettura dell’acqua. L’emergenza idrica come occasione progettuale nella città contemporanea (Edizioni Quodlibet).

La crisi climatica come occasione progettuale
Prosegue De Francesco: «Viviamo un doppio problema: da un lato la scarsità dell’acqua, causata dall’aumento delle temperature; dall’altro, le precipitazioni sempre più intense che causano inondazioni. L’Italia, essendo un paese geologicamente giovane, è particolarmente esposta a frane e alluvioni. Ma proprio queste criticità possono diventare occasioni progettuali: ridisegnare le città attraverso un uso consapevole dell’acqua significa mitigare i rischi e, al tempo stesso, migliorare la qualità urbana e sociale».
Viviamo un doppio problema: da un lato la scarsità dell’acqua, causata dall’aumento delle temperature; dall’altro, le precipitazioni sempre più intense che causano inondazioni
Gaetano De Francesco, architetto
Ma l’acqua in città non può essere vista solo come svago. Deve, piuttosto, tornare a essere infrastruttura viva e funzionale. «I fiumi devono respirare, espandersi, filtrare», prosegue De Francesco, «Molte città nel mondo, dall’Olanda a Copenhagen, da New York a Seoul, hanno già avviato importanti progetti di riqualificazione dei lungofiume. In Asia, ad esempio, gli investimenti sono enormi: parliamo di vere e proprie infrastrutture paesaggistiche multimilionarie. Questo anche perché lì le trasformazioni avvengono in modo molto più rapido che in Europa. Da noi, per fare una piazza, possono servire trent’anni».
È in questo contesto che si fa strada un’idea nuova e antica allo stesso tempo: il fiume come alleato della città, non come suo avversario. Un’alleanza progettuale che si traduce in infrastrutture “ibride”: utili e belle, capaci di proteggere e, allo stesso tempo, accogliere. In Olanda, il progetto Rijkere Dijken di DELVA Landscape Architecture and Urbanism e Dingeman Deijs Architects, propone polder abitati concretizzatisi poi nella diga-parcheggio realizzata per le coste della città balneare di Katwijk. Quindi le dighe come spazi multifunzionali capaci di assorbire le piene e offrire luoghi pubblici. Ad Amburgo, lungo l’Elba, la celebre Niederhafen River Promenade, progettata dallo studio Zaha Hadid Architects, fonde sicurezza idrica e qualità urbana, restituendo il waterfront alla città attraverso argini nel cui spessore trovano posto parcheggi e alla cui sommità si configurano delle promenade sul fiume.

Dalle barriere mobili ai giardini della pioggia: sei strategie per integrare i fiumi
De Francesco identifica sei strategie principali per ridisegnare i corsi d’acqua in ambito urbano: l’uso di barriere mobili, non più muraglioni statici, ma sistemi dinamici attivati solo in caso di emergenza; l’allargamento degli alvei, come a Monaco, dove si è creato uno spazio vivo e frequentato dai cittadini che viene invaso dalle acque se serve; le vasche di laminazione, grandi “pance” lungo il corso del fiume, pronte ad accogliere l’acqua in eccesso; il bypass idraulici, canali alternativi che sfociano in isole di biodiversità; le reti di canali, come nella pianura pontina, ancora oggi efficaci per la gestione delle acque e, infine, le piazze d’acqua e giardini della pioggia, spazi urbani multifunzionali che diventano vasche in caso di necessità.
«Tutti gli argini dei fiumi del futuro dobbiamo immaginarli come spazi in movimento, flessibili che mutano nel tempo», prosegue l’architetto romano, «una piazza può essere anche una piscina temporanea. Un’area verde può diventare un bacino di contenimento. Ma questi luoghi devono essere vissuti, non solo disegnati. Inserire architetture e funzioni ai margini dei fiumi serve anche a garantire manutenzione, sicurezza e vita. Inoltre è importante coinvolgere i cittadini, in fase di progettazione e gestione di questi spazi».
Spazi in movimento: l’architettura che segue l’acqua
Aggiunge De Francesco: «Non dobbiamo pensare solo agli interventi lungo gli argini dei fiumi. Piazze d’acqua, giardini della pioggia, cisterne ipogee: sono dispositivi fondamentali per rendere le nostre città più porose, come vere e proprie città-spugna. Durante gli eventi meteorici più intensi, queste infrastrutture distribuite nello spazio urbano raccolgono l’acqua piovana, la trattengono e la rilasciano solo dopo l’emergenza, evitando di sovraccaricare il sistema fognario e i corsi d’acqua». Spiega ancora l’architetto romano: «Anche gli edifici possono fare la loro parte: tetti piani e inclinati possono diventare superfici di raccolta, contribuendo a stoccare l’acqua e a rallentarne il deflusso. È un modo per trasformare l’intera città: spazi pubblici, architetture, sottosuolo in un sistema capace di assorbire i colpi del cambiamento climatico e prevenire catastrofi diffuse».
Tutti gli argini dei fiumi del futuro dobbiamo immaginarli come spazi in movimento, flessibili che mutano nel tempo
Gaetano De Francesco, architetto
Alla base di questa nuova idea di urbanistica fluviale c’è un principio fondamentale: la multifunzionalità. I fiumi non sono solo un tema ambientale, ma anche sociale, culturale, economico. Sono spazi di incontro, infrastrutture per la mobilità lenta, corridoi ecologici. Possono mitigare gli effetti del riscaldamento globale, aumentare la biodiversità, rafforzare l’identità urbana.
Non più città contro l’acqua, ma città con l’acqua
«Non basta bagnarsi i piedi nella Senna per dire di aver ripreso possesso del fiume», sottolinea De Francesco, «serve una progettualità che consideri il fiume come una parte vitale della città. Se il fiume fosse una strada lo penseremmo in continuità con il tessuto urbano invece di relegarlo ai margini».
Perché questa trasformazione si compia davvero è necessario un cambio di paradigma: non più città contro l’acqua, ma città con l’acqua. Un approccio che richiede investimenti, certo, ma anche visione, coraggio, partecipazione. Coinvolgere le comunità locali, integrare urbanistica e paesaggio, riconoscere al fiume un ruolo attivo nel disegno della città.
«Nel nostro Dipartimento lavoriamo molto con gli studenti su questi temi», prosegue, «Ad esempio, abbiamo condotto una ricerca sul Tevere e sull’ Aniene, mappando i vuoti urbani e ipotizzando il riuso del patrimonio dismesso, spesso industriale e legato storicamente al fiume. Sono proposte progettuali, linee guida, che speriamo possano comunque servire a chi prende le decisioni sul futuro del nsotro territorio. La verità è che oggi dobbiamo formare architetti capaci di affrontare le crisi ambientali e l’università è il posto giusto per iniziare a farlo».
La sfida è dunque quella di progettare spazi “metamorfici”, che accolgano le variazioni dell’acqua e diventino parte della vita urbana. «Non si tratta solo di etica ambientale: riqualificare i fiumi significa valorizzare economicamente e socialmente le aree urbane». Conclude De Francesco, «per realizzare progetti così ambiziosi servono partnership pubblico-privato, serve il terzo settore, serve una visione integrata. L’alternativa è continuare a vivere in città vulnerabili, disfunzionali e sempre più calde».
Foto di Grant Van Cleemput su Unsplash
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