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Welfare & Lavoro

Un common per i big data dell’innovazione

di Flaviano Zandonai

Che succede ai progetti che partecipano a bandi e concorsi e non vincono? Se ne discuteva a proposito della competizione Che fare sull’impresa sociale culturale: circa 500 proposte pervenute. L’insieme di queste idee progettuali ha generato una banca dati che merita di essere analizzata in più direzioni. Naturalmente si possono approfondire i contenuti dell’innovazione, ma si possono raccogliere informazioni interessanti anche per quanto riguarda i promotori dei progetti (una nuova generazione di imprenditori sociali?). Inoltre è possibile trarre informazioni utili a determinare il fabbisogno di supporto delle startup sociali in termini di servizi di accompagnamento finalizzati a sviluppare l’idea, definire il modello di business, reperire risorse finanziarie, trovare partner “industriali”, inserirsi in reti commerciali e così via. Qualche tempo fa abbiamo approfondito proprio quest’ultimo aspetto nell’ambito di una competizione promossa da fondazione Vodafone. Un’esperienza più limitata rispetto a Che Fare, ma che comunque aveva generato indicazioni di un certo interesse.

Rimane il problema di “come fare” questi approfondimenti. Noi procedemmo alla vecchia maniera: ovvero smazzandoci decine di progetti rinchiusi in formulari quali – quantitativi pensati, ovviamente, non per attività di ricerca. Un lavoraccio per codicare elementi descrittivi e parametrare con maggiore precisione i dati quantitativi. Risultato: un database da dare in pasto ai programmi di elaborazione dati.

Forse però si potrebbe fare in modo diverso, chiedendo aiuto a un altro vincitore di un premio per imprese innovative. Tykli si è infatti aggiudicata i 100k euro – stesso ammontare di Che Fare – messi in palio dalla competizione Prendi parte al cambiamento promossa da Ing Direct. Ha vinto proponendo un sistema di mappatura di grandi database attraverso network semantici che restituiscono correlazioni tra dati spesso inerti o non considerati tali. Un modo per esplore la conoscenza autogenerata dalle organizzazioni senza seguire le complicate procedure della ricerca tradizionale che inevitabilmente tendono a standardizzare i processi. Per averne conferma è sufficiente guardare all’effetto paradossale generato dalle certificazioni di qualità sulle prassi di lavoro: impongono la generazione di informazioni secondo procedure che frammentano lo “scorrere naturale” delle relazioni tra persone e organizzazioni e generano una conoscenza che nella maggior parte dei casi rimane in files online o cartacei.

A questo punto una proposta: visto il numero crescente di competizioni, concorsi, bandi che hanno per oggetto l’innovazione perché non costituire tra i promotori una grande banca data di progettualità che possa essere dragata dagli algoritmi di ricerca di Tykli o di altre imprese simili? Ne uscirebbero indicazioni utili per riconoscere i modelli e le tendenze dell’innovazione in una fase storica così effervescenze. E, cosa non da poco, la conoscenza così organizzata sarebbe fruibile come un bene comune.


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