Attivismo civico & Terzo settore

Liu Xiaobo, mettiamoci la faccia

di Redazione

Sento un’aria strana attorno alle reazioni in Italia, dopo l’assegnazione del premio Nobel per la pace 2010 al dissidente cinese, in carcere, Liu Xiaobo. Un’aria di sufficienza, un po’ snob. Come dire: che cosa si mette in testa l’Accademia di Stoccolma? Vuole cambiare il mondo? Rompere le scatole alla Cina sul più bello, quando cioè il motore dell’economia mondiale sembra trainato proprio da Pechino? E poi in fondo Liu Xiaobo è un Signor Nessuno, non ha il carisma di Sacharov o di San Suu Kyi o del Dalai Lama. Io, nel mio piccolo, da utilizzatore di Facebook, in un fitto dialogo con i miei “amici”, ho pensato di sostituire la mia foto identificativa con l’immagine di questo professore cinese, quasi coetaneo.
Occhiali, sorriso ironico, aria semplice e per niente spocchiosa, Liu Xiaobo mi ha ispirato subito simpatia. E così gli ho prestato lo spazio della mia faccia. Una piccola, banale, idea, che ha trovato, in questi giorni, un’insospettabile condivisione da parte di molti, uomini e donne di idee diverse, accomunati dalla convinzione che questo piccolo gesto potrebbe quanto meno contribuire a far meditare anche tanti altri, che magari neppure si sono accorti di questa notizia, importante, ma senza un seguito politico corrispondente, soprattutto in Italia, dove il governo ha dato prova di uno strepitoso realismo, di stampo affaristico, di fatto evitando qualsiasi pubblica solidarietà nei confronti di un detenuto per reati di opinione, ammesso che siano reati.
Ammetto di aver vissuto una fiammata di idealismo. Ma è così grave e insensato? Mi sono ricordato di quando da ragazzo mi emozionavo per Jan Palach e per Salvador Allende, per Sacharov e per i reduci dal Vietnam. E in piazza, da giovani, andavamo tutti, magari ingenui, ma non stupidi. Ora i cuori si sono chiusi, e pensiamo da provinciali: «Sì, ma a noi che ci interessa? Occupiamoci delle cose di casa nostra, no?». No. Direi di no.


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