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Vademecum dal letto 14

di Franco Bomprezzi

Ultimi giorni in compagnia del letto 14. In qualche modo, la prossima settimana, tornerò a casa, e lì comincerà una nuova fase, quella dell’autonomia relativa, resa possibile dall’aiuto dell’assistenza domiciliare, fino a quando le mie ossa non chiuderanno la stagione dei saldi, ridandomi la possibilità di fare quasi tutto da solo, come sempre.Questo diario un po’ strampalato, ammetto, mi ha preso la mano, la penna, e il cuore. Anche perché tanti sono stati i commenti, qui nel blog, e nel link sulla mia pagina di facebook. Al punto che molti si aspettano che io continui a scrivere, a ragionare, magari a sorprendere con qualche effetto speciale.

Ho cercato di raccontare, da cronista, la realtà di un reparto, l’unità spinale di Niguarda, e di un variegato gruppo di persone, medici, infermieri, operatori sanitari, ricoverati, amici, visitatori. Un microcosmo che ho visto da vicino proprio mentre nel Paese accadevano vicende importanti, quasi epocali. Mi è sembrato, a volte, di rivivere la sensazione che ho provato vedendo lo splendido film di Ettore Scola, “Una giornata particolare”, con Marcello Mastroianni e Sofia Loren. I dialoghi si svolgevano, infatti, con il sottofondo della parata del Duce, con gli altoparlanti che seguivano, minuto per minuto, l’adunata oceanica del popolo in camicia nera. Intendiamoci, la scena, oggi, era ben diversa, e molto meno inquietante. Ma il contrasto fra la vita “piccola”  e quella “grande” è stato sempre palpabile e vivido, anche per la personale sensazione di essere, almeno per un po’, non in grado di incidere attivamente nel “mondo là fuori”. Sensazione non del tutto esatta, visto che ormai virtuale e reale si sovrappongono e si intersecano costantemente, si alimentano di relazioni tutt’altro che banali ed effimere.

Molti sono colpiti, positivamente, dalla mia apparente serenità, anche in una situazione a dir poco precaria, visto che devo fare i conti con due gambe fratturate, e con tempi assai incerti di guarigione (non meno di tre mesi). In realtà devo ammettere che cerco, per quanto possibile, di analizzare ogni giorno la mia situazione e di applicare, su di me, ciò che ritengo sia giusto in generale. Ecco perché vorrei qui sintetizzare, senza alcuna presunzione, alcuni piccoli trucchi o consigli per l’uso, visto che non sono certo il solo a vivere un periodo di ricovero in ospedale piuttosto prolungato.

La prima cosa da fare è ragionare su se stessi. Fare il censimento della propria situazione, fisica, pratica, materiale, organizzativa. Allearsi con l’inevitabile. Inutile recriminare su quanto accaduto. E’ assai meglio concentrarsi su un piccolo ma complesso progetto di vita, limitato all’obiettivo di tornare, nel più breve tempo possibile, alla normalità. E’ importante, ad esempio, saper calcolare bene il dolore fisico, le sue variazioni nel tempo e nell’arco della giornata. E’ utile valutare onestamente il proprio stato di forma, il respiro, l’energia, la capacità di concentrazione. Non sono un detenuto, anche se in un certo senso il ragionamento vale anche – forse a maggior ragione – per un detenuto. In ospedale ci sono certo delle regole da rispettare, e si tratta di regole che tendenzialmente sono fatte da chi ci lavora, non da chi viene definito “paziente”. Nel comportamento quotidiano è dunque importante dialogare con tutti, cercando di far capire nel miglior modo possibile, con chiarezza, qual è il “nostro” punto di vista, che cosa ci aspettiamo, che cosa vorremmo, che cosa riteniamo possibile fare per vivere in armonia, in un ambiente che presenta molte difficoltà pratiche.

Mettersi in ascolto, dunque, di chi ogni giorno si dedica alla tua persona, per lavarti, vestirti, alzarti, accudirti, fornirti i pasti, le terapie, gli ausili, gli accorgimenti pratici per la migliore mobilità. Ascoltare, ma anche dialogare, interloquire, possibilmente in tono leggero, non ansioso, non lagnoso, non arrogante. Un po’ di umiltà non guasta. Ho scoperto, ancora una volta, quanto ci si possa divertire con una buona squadra di infermieri e di operatori/operatrici. Il gioco delle battute, la leggerezza, l’apprezzamento per la qualità del lavoro altrui, non sono soltanto delle strategie di sopravvivenza. Sono soprattutto regole non scritte di buona convivenza civile. Usare poco il campanello, ad esempio, non è solo corretto, è anche conveniente: perché la volta che attivi l’allarme è assai più probabile che un infermiere arrivi tempestivamente, perché sa che non stai gridando “al lupo, al lupo…”.

Osservare bene il territorio e le cose essenziali alla tua autosufficienza mentale e pratica: ovvero, tutto a portata di mano, vicino al letto. Il computer connesso al caricabatterie, il cellulare, la bottiglia dell’acqua, il telecomando del televisore, l’interruttore della luce, gli occhiali, un buon libro, un giornale, una penna. Alla fine ti accorgi di ragionare come Robinson Crusoe. Con la differenza che qui non c’è solo Venerdì, ma tanta brava gente pronta in ogni caso a darti una mano, giorno e notte.

Familiarizzare con il proprio compagno di stanza, non è solo buona educazione, è anche una bella idea, perché si scoprono mondi sconosciuti e si riesce rapidamente a trovare un compromesso per la propria privacy, senza sentirsi troppo soli. Usare non smodatamente o compulsivamente il cellulare è poi una regola aurea. Il telefono è utile, ma stare anche un po’ soli con se stessi non è male. Io chiacchiero volentieri con me stesso, ho molte cose da discutere, storie da raccontare, ricordi da riordinare, fantasie da abbellire, progetti da costruire, database mentali da riordinare.

E poi il tempo: non è vero che non passa mai, anzi. Passa velocemente, a volte troppo. Le giornate si snodano attraverso routine consolidate, e il rischio è quello di adagiarsi in una normalità eterodiretta, che tutto sommato presenta alcuni lati di comodità.

Infine accettare senza rassegnarsi. Costruire giorno dopo giorno il ritorno a casa, senza fretta, ma con determinazione. La serenità non è indispensabile, esistono i momenti di sconforto, di preoccupazione, perfino di ansia. Ma tutto questo non è molto diverso da quanto accade nella vita di tutti i giorni, quando, forse erroneamente, siamo convinti di essere più liberi di scegliere.


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