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Poveri di futuro

di Franco Bomprezzi

La parola “povertà” è tornata di prepotenza nel lessico popolare e familiare. Ci sono i nuovi poveri, ma si stanno snidando i falsi poveri, senza contare ovviamente i vecchi poveri, o i poveri vecchi. La povertà sembrava in via di estinzione. Il mercato globale aveva promesso un futuro migliore per tutti. Lo stesso mercato ora punisce le speranze e i sogni, sostenendo che la logica è la medesima. Siamo appesi alle parole d’ordine. Da persona disabile tiro un sospiro di sollievo, perché almeno per qualche settimana il capro espiatorio non sono più i “falsi invalidi” (rivelatisi fisiologicamente attorno al 4 per cento della massa) ma i “falsi poveri”. Difficile incontrare a Cortina un paraplegico in Porsche, anche se non è del tutto impossibile. L’indignazione si è spostata, per fortuna, su obiettivi statisticamente più rilevanti. Ma nel frattempo la povertà, quella vera, sta cominciando a mordere alle caviglie, e a far scendere il gelido vento della paura in tante, troppe case. Prima l’erosione dei risparmi, poi la perdita del lavoro, magari solo di una persona della famiglia, la più debole. Spesso non una sola, ma due: uno abbastanza anziano ma non troppo, e un giovane. Il bello è che mai come adesso gli enti pubblici puntano a usare l’Isee, ossia lo strumento di valutazione del reddito familiare, per stabilire i parametri di accesso ai servizi e alle prestazioni. Se andiamo avanti con questo trend e con questo spread, si rivelerà un boomerang, perché il livello di reddito in famiglia sta scendendo vertiginosamente.

Ma l’anno che si è appena aperto rischia di annoverare un’altra categoria: i poveri di futuro. L’esercito dei “senza sogni”, dei nuovi cinici, di coloro per i quali “tanto non cambierà mai niente”, “tanto è tutto uguale”. Hanno dei buoni argomenti e degli ottimi esempi per pensarla così, ma non è giusto. Dobbiamo provare a reagire. Sapendo che tanto il futuro ci sarà lo stesso, e lo vivremo. Bene o male, ma lo vivremo. Con buona pace della profezia dei Maya, che per molti si era rivelata tutto sommato una buona soluzione. No, dobbiamo pensare al futuro, disegnare, nel nostro “progetto di vita”, i passaggi che ci attendono, attivando la speranza, costruendo una rete almeno di solidarietà e di salvataggio. Mai come adesso le amicizie sono fondamentali, quelle vere, sincere, disinteressate. Mai come adesso occorre difendere la dignità dei diritti, anche nel lavoro. E’ ormai diffusa, per chi cerca una occupazione in modo spasmodico, la rassegnazione ad accettare lavori pagati 4 euro l’ora, o anche meno. La generazione dei call center sa bene di che cosa si tratti, e così accade in molte cooperative, o in servizi dati in subappalto. Il gioco al ribasso nel mercato del lavoro espelle perfino gli immigrati ormai stabilizzati, figurarsi, ad esempio, i lavoratori disabili, o i giovani.

Finalmente le reti televisive dedicano ore e ore di programmi di informazione anche alle cronache della disoccupazione. Il paradosso è che i licenziamenti di questi giorni non nascono dal nulla, ma sono il frutto di un paio d’anni almeno di crisi nera. Una crisi mascherata dagli ammortizzatori sociali, dalla cassa integrazione, e adesso non più comprimibile. E ciò che più sgomenta è vedere quei volti atoni, quella protesta che muore in gola, quegli occhi lucidi e dignitosi. Ecco perché ora c’è bisogno di futuro, di progetti, di coraggio, di nuova speranza nel cambiamento. Meno ideologia e più voglia di vivere.


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