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Nel nome di Francesco

di Franco Bomprezzi

Non avrei mai creduto di emozionarmi. E’ successo davvero, all’improvviso, ieri sera, alle prime parole del Papa. Un brivido sulla pelle, come non provavo da molto tempo. Perché? Sono solo un credente, molto laico e per nulla praticante dei riti cattolici. Da ragazzo mi ero impegnato attivamente, seguendo lo spirito dei tempi (erano gli anni attorno al ’68, vissuti a Rovigo, città che più di provincia non si può…). Eravamo un gruppo di giovani liceali di belle speranze, conquistati dalla semplicità di un prete, don Luciano. Attorno a lui esperienze di comunità, di messa “suonata” (all’epoca mi azzardavo addirittura a suonare il banjo, in chiesa, accompagnando gli spiritual, ed evitando rigorosamente di cantare, essendo terribilmente stonato). Questo sacerdote, giovane e pieno di entusiasmo, ebbe il torto di portare molti giovani a riscoprire il senso della fede e dell’impegno umano. Ma quei giovani abbandonarono le parrocchie del centro, e la messa della domenica. La Curia, se ben ricordo, seguì con crescente malumore questo fenomeno ritenuto quasi eretico. Il risultato fu che don Luciano venne “promosso” ad una missione in Belgio, in un paesino di minatori. Non ne so più nulla. Ma da allora quella delusione, quel senso di tradimento, mi allontanarono dalla Chiesa, scelsi la strada dell’impegno laico, e del giornalismo.

Ieri sera mi sono tornate agli occhi quelle emozioni di ragazzo, e forse questo è un autentico miracolo. Il merito è di un uomo che ha saputo sorprenderci, con quella croce di legno scuro sul petto bianco, con lo sguardo dolce, mite ma fermo. E poi quell’improvviso silenzio: la richiesta alla piazza di pregare per lui. Un segno fortissimo di cambiamento e di umiltà. L’affermazione che Lui sarà il Papa che noi cristiani riusciremo a sorreggere nell’azione quotidiana. Un messaggio rivolto davvero a tutti, senza distinzione di fede. Ho pensato: se è riuscito a colpire me, quale breccia avrà aperto nei cuori già rivolti alla fede? Ho la sensazione forte che siamo in presenza di una opportunità incredibile di riaffermazione dei valori universali della religione. L’attenzione agli ultimi, ai poveri, agli emarginati. La “misericordia”, parola dimenticata o negletta, o utilizzata con ipocrisia crescente. E il nome potente di Francesco, che mi ha improvvisamente riportato in vita mia mamma, francescana laica, capace di convincere negli ultimi anni di esistenza anche mio padre (laico impenitente), a impegnarsi accanto ai francescani, a Padova. Il mio nome, poi, Franco, era da lei stato scelto pensando a Francesco, al santo che più di ogni altro restituisce il senso del dialogo e della scelta di vita radicalmente lontana dalla ricchezza come fine unico e incontrastato dell’esistenza.

Un tumulto di emozioni, di ricordi, e dunque di speranze. Perché la speranza nasce dalla memoria, senza un confronto con il proprio passato non possiamo elaborare un disegno di futuro, neppure nel percorso di fede, o almeno di recupero di una dimensione religiosa del vivere quotidiano. Ho avuto la sensazione forte di un cambiamento epocale, e persino geografico, di prospettiva: “sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo”… Già. Alla faccia di chi applicando schematismi zeppi di pigrizia e di pregiudizi riteneva la Chiesa prigioniera della tradizionale forza della Curia italiana.

Il timore adesso è che le tante aspettative si tramutino in continue richieste di “prove” da esibire al mondo. Il tentativo, in queste ore, di riportare alla luce i trascorsi dell’opaco ruolo della chiesa argentina ai tempi della dittatura di Videla mi pare ingeneroso, e comunque contraddetto – per quel che posso capire non essendo un fine conoscitore delle dinamiche attuali del consenso nel paese sudamericano – dalla vasta popolarità di Jorge Bergoglio presso gli strati più umili. Certo se ci sono zone d’ombra dovrà essere lui stesso a dissiparle o a chiarire che cosa accadde davvero in quei tempi cupi. Ora credo sia giusto dargli la chance di dimostrare quella grande umanità che lo ha spinto a scegliere per primo l’onere incredibile di chiamarsi Francesco. Nel suo nome, inutile dirlo, si possono cercare solo “pace e bene”. Auguri Francesco.


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